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IL GATTOSARDO

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Martedì, 22 Ottobre 2024 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

            

gattosardo

Pur sapendo che l’acqua di mare è salata e mi potrebbe nuocere, bevo ugualmente: ho troppa sete. Di lì a qualche minuto però, vomito tutto quello che il mio stomaco contiene, cioè acqua marina.

Sono affamato, assetato e stremato dai tanti chilometri percorsi in cerca di una casa accogliente.

Con una sensazione di testa vuota mi aggiro per il porto in cerca di qualche scarto di pesce che non trovo. È molto probabile che qualcun altro abbia già fatto pulizia.

All’improvviso appaiono davanti a me due gambe umane. Alzo lo sguardo annebbiato e incontro un paio di occhi giovani e pietosi. Miagolo una lieve richiesta di aiuto e attendo.

Fortunatamente non a lungo. Il mio nuovo amico mi raccoglie e mi porta via con sé.

Non avrei mai immaginato, neppure nei miei sogni più audaci, di salire su una barca. Anzi, qualcosa di più di una barca, forse una nave.

Entriamo in uno spazio, che in seguito apprenderò chiamarsi cabina, dove mi viene proposto un po’ di pesce fresco e, soprattutto, dell’acqua.

Bevo con voluttà e quindi attacco il pesce, a piccoli bocconi però, altrimenti rischio di vomitare un’altra volta.

“Avevi una gran fame, eh gatto?” si propone il mio salvatore.

“Miao,” rispondo per cortesia.

Non si sa mai che mi tenga con sé.

“Ora bisogna sceglierti un nome. Ti piacerebbe Charlie?”

Guardo l’umano con amore: se ha deciso di impormi un nome, significa che diventerò suo amico per sempre, o almeno spero.

Mentre sto elaborando gli avvenimenti degli ultimi minuti, nella cabina compare un cartone munito di cuscino. Io mi ci stendo, allungo una zampetta per ringraziare e piombo in un sonno profondo.

Mi sveglio dopo qualche ora, quando già la nave ha lasciato il porto per una destinazione sconosciuta. Sono solo. Mi stiracchio ben bene le membra indolenzite, bevo ancora, mangio qualche boccone avanzato e ispeziono il mio nuovo alloggio. Mi piace.

“Ehi Charlie,” mi apostrofa l’umano entrando. “Che ne diresti di darti da fare?”

Al mio sguardo interrogativo risponde: “Ci sono un sacco di topi a bordo, vai e catturali tutti. Okay?”

“Topi? Intendi quei minuscoli e velocissimi esseri color grigio topo? No grazie, preferisco il cibo che mi fornisci tu. Sono troppo stanco. Forse tra due o tre giorni, quando mi sarò completamente rimesso…”

Non so se abbia capito il lungo discorso fatto con ogni fibra del mio essere – noi gatti non abbiamo la parola –, ma credo proprio di sì perché se ne va, scuotendo il capo sorridente.

L’indomani la nave si ferma in un’isola mai vista prima. Dalle parole degli umani mi pare di aver capito che si chiami Corsica o qualcosa del genere.

Il mio amico mi invita a scendere a terra, ma io rifiuto. Non si sa mai che poi non mi facciano risalire!

Così, mentre quasi tutti se ne vanno per gli affari loro, io ispeziono la nave. Scendendo le scale che conducono nella stiva, fiuto un forte odore di prede appetitose. Mi muovo con cautela, quindi mi blocco dietro un angolo nella speranza che succeda qualcosa di interessante. Che, in effetti, accade pochi minuti dopo: due topini grassottelli se ne vanno a spasso senza prestare molta attenzione alle trappole che cacciatori esperti come me sanno tendere – va bene forse ho un po’ esagerato, però lasciatemi vantare!

Giunti proprio a un tiro di zampa, fiutano il sottoscritto, ma ormai è troppo tardi: le loro code sono bloccate dagli artigli delle mie zampe anteriori.

Ancora prima che li tocchi, sono morti di paura, così li prendo in bocca e li porto nella cabina che divido con l’umano.

Li deposito ben in vista sul suo letto e, non soddisfatto, me ne torno a caccia.

Per farla breve, prima del rientro della ciurma, ho già collezionato ben otto cadaveri, tutti esposti in bella mostra come nei supermercati.

Non ne ho assaggiato nemmeno uno, nonostante l’acquolina in bocca sia sempre più abbondante.

E finalmente giunge il momento della verità.

Mister U – d’ora in poi lo chiamerò così – entra nella cabina, vede le prede, fa un passo indietro, si tappa il naso e scoppia in una fragorosa risata.

Poi prende un paio di guanti, raccoglie i cadaveri e li lancia fuori dell’oblò.

“Ma come, “ protesto, “ho faticato tanto e tu butti a mare il frutto delle mie azioni venatorie? La prossima volta me li pappo senza mostrarteli!”

Allora Mister U mi consola con una carezza affettuosa e un pesciolino fresco fresco. Pace fatta.

Il giorno successivo arriviamo a Genova.

“Ora devi scendere. La nave ferma qui. Dovrai arrangiarti d’ora in poi Charlie,” mi comunica il mio amico.

“Arrangiarmi? Ancora? Mi chiami Charlie e poi mi abbandoni? Ne ho viste di tutti i colori! Per favore, per favore, tienimi con te,” lo supplico sfregando il mio fianco sulle sue gambe.

Lo vedo indeciso. Allora insisto guardandolo con occhi imploranti e miagolando sommessi lamenti che – ne sono certo – scioglierebbero il cuore più duro.

Infatti: “Va bene, ti porterò con me, ma non dovrai starmi sempre appiccicato. Vedremo se qualcuno ti vuole. Io faccio una vita troppo vagabonda, non posso tenerti.”

Lo amo, lo amo con tutto il mio amore felino.

Mi fa salire in macchina e partiamo. Facciamo diverse tappe durante le quali Mister U acquista deliziosi pranzetti per il suo micio – che sarei io – e mi fa riposare sul sedile posteriore dell’auto.

Infine arriviamo a casa. Piccola come la cabina della nave non è, tuttavia non si può dire che sia spaziosa.

Vedo Mister U pulire ogni cosa, quasi aspettasse la visita di un re. E, infatti, la sera si adagia su una tavola imbandita per due.

I miei occhi brillano: sono certo che avrà un’amica del cuore, e a un’amica puoi chiedere di tutto!

Suona il campanello, Mister U va ad aprire a un giovane maschio dalle movenze feline.

Approvo! È veramente un bell’esemplare umano.

Per farla breve, quella stessa sera l’ospite mi porta via con sé. In casa sua – orrore! – vivono altri due gatti che non sono assolutamente d’accordo di fare un trio con me.

Urliamo tutti come ossessi, finché l’umano ci intima il silenzio.

Io sono chiuso in uno sgabuzzino munito di cuscino, lettiera per i bisogni corporali, acqua, crocchette e cibo umido. Beh, anche così non si sta poi tanto male.

Quando il giovanotto è in casa, tenta con tutti i mezzi di mettere d’accordo le sue tigri; quando non c’è, sono relegato nello sgabuzzino.

Alla fine mi stufo di essere sempre io a dovermi sacrificare, così, una sera, espongo la mia opinione a Mister X: “Perché non mi trovi una casa dove io possa essere l’unico gatto? Qui, vedi bene, non mi vuole nessuno. E anche tu, del resto, non ti curi molto di me. Cercami una sistemazione migliore, per favore.”

Vedo che Mister X non comprende il senso dei miei lamenti, ma tre giorni dopo mi infila in una gabbietta, mi carica in auto e mi porta in un’altra casa.

“Betty, questo è Charlie. Io, come ti ho già spiegato al telefono, non posso tenerlo. Se ti piace, te lo regalo.”

Betty mi guarda, si avvicina, appoggia il naso sul mio, mi accarezza e: “È stupendo. Mi sono sempre piaciuti i gatti neri con gli occhi verdi. Andremo d’accordo Charlie. Io vivo sola, avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse compagnia. Dove l’hai trovato?” chiede quindi rivolta a Mister X.

“Me l’ha dato un amico che l’ha scovato in Sardegna durante uno dei suoi viaggi.”

“Ah, allora è un Gattosardo!”