MIAGOLINA
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Lunedì, 09 Maggio 2016 00:00
- Scritto da ADMIN
Quanto è dolce l’aria stasera! Annuso le parole che il vento sussurra alle fronde, mentre uno struggimento torpido mi invade la mente. Osservo nel cielo le stelle che giocano a rimpiattino con certe nuvole illanguidite dalla passeggiata serale. Tutti sono felici, tranne me: da qualche giorno un malessere inconsueto mi stravolge le viscere. Aggirandomi nel giardino del ristorante che ho scelto come casa, miagolo al mondo i miei problemi che, tuttavia, non interessano proprio a nessuno.
Stasera sono in preda a un curioso presagio, come se la mia vita dovesse subire una svolta decisiva. Mah, speriamo bene! Osservo con attenzione i rari clienti del ristorante ingurgitare enormi quantità di cibo, completamente ignari della mia fame atavica: sono ben due giorni che non mi alimento in maniera decente!
D’improvviso, nell’angolo più remoto del giardino, noto un tavolo completo di umani che potrebbero fare al caso mio, innanzi tutto per la posizione strategica che occupano, e in secondo luogo perché… devo pur tentare la sorte! Mi avvicino inosservata per un esame approfondito. Nei loro occhi scopro una noia superficiale dovuta di certo alla monotonia della serata.
“Che la fortuna sia con me!” mi auguro, iniziando le manovre per attirare la loro attenzione.
Mi dispongo tra le due sedie e: “Marmarmao!” vocalizzo.
Le teste degli umani si muovono repentine per scoprire l’origine del suono, mentre due paia d’occhi affabili si immergono nei miei.
“Guarda caro, che stupenda gattina!” esclama lei.
“Sei certa che sia una femmina?”
“Beh, no, però un musetto così dolce... che altro potrebbe essere?”
Spalanco gli occhi, come mi ha insegnato mamma, cercando di comunicare il mio immenso appetito. Essi comprendono e, dopo essersi accertati che nessuno li osservi, ecco del cibo cadere ai miei piedi. Dopo tanto tempo trascorso a nutrirmi di rari avanzi, finalmente stasera assaporo leccornie degne di un re.
“Vorrei che questi attimi durassero in eterno!” penso, mentre il cibo sparisce alla velocità della luce nel mio ventre infossato.
Ben presto però la serata volge al termine: i miei due amici, che hanno ormai finito di cenare, si accingono ad andarsene! Qualche carezza reciproca prima della separazione... Seguo con occhi tristi le loro figure allontanarsi, poi li vedo tornare, chissà... Invece essi mi concedono solo qualche coccola supplementare, alla quale rispondo con dovizia di fusa e sguardi imploranti.
“Beh, grazie di tutto!” mi accomiato rassegnata dopo il loro definitivo distacco.
"Scusi, è sua questa micia?" chiede l’uomo incrociando il titolare del ristorante.
Ma allora... non tutto è perduto. Mi avvicino con calma apparente, mentre i battiti del cuore rincorrono frettolosi i secondi...
"Macché, si è stabilita qui circa quindici giorni fa, e non se ne vuole andare. C’è un problema però: lunedì prossimo devo chiudere per ferie e, voi mi capite… Certo i gatti sanno procurarsi il cibo in tanti modi, però a me dispiace abbandonarla così. Ultimamente le ho dato poco o niente da mangiare per tentare di allontanarla dal ristorante, invano…"
"Allora che ne direbbe se la prendessimo noi?" domanda il marito in un improvviso slancio di generosità.
“Sì, certo che vengo con voi, fino in capo al mondo se necessario, ma non lasciatemi qui. Ormai ci apparteniamo. Io vi ho amati subito, dal primo istante che ho posato gli occhi su di voi, e sarò sempre fedele al mio sentimento. Farò ciò che mi chiederete e morirò per voi, se occorre, ma portatemi a casa vostra, ve ne prego...” miagolo ad alta voce.
"Ma caro," si oppone debolmente la donna, "sei certo sia il caso di accollarci un altro gatto? Ne abbiamo già fin troppi! Non mi pare..."
“Beh, se avete già altri gatti, che vi farebbe uno in più? Io mangio poco, sono modesta in tutto, ho unicamente bisogno di affetto e, lo so, soltanto voi potete darmelo...” affermo con calore.
"Beh,” si intromette il proprietario, “parlatene pure con calma e, se decideste di adottare la gattina, io non avrei nulla in contrario, anzi!" conclude allontanandosi.
I miei due amici, che ho appreso chiamarsi Gianni e Cecilia, iniziano allora un’inconsistente discussione.
Sorrido tra me e me, intervenendo di quando in quando con qualche miagolio di supporto alla mia causa, che tuttavia intuisco già vinta.
“L’importante è non abbandonare mai la scena e osservare con aria innocente, no, meglio supplichevole…” ripasso mentalmente le lezioni impartitemi da mamma.
Alla fine mi sistemo comodamente sul sedile posteriore della loro vettura, ronfando soddisfatta del mio viaggio verso la felicità.
“Oh, grazie, grazie per avermi tolta da quel posto orribile. Non ve ne pentirete. Io me ne rammenterò per il resto della vita, che spero sia abbastanza lunga da dimostrarvi la mia infinita gratitudine...” non smetto di miagolare.
La casa alla quale giungiamo è immersa nel verde - fatto oltremodo positivo per un futuro salubre. - L’interno poi è molto confortevole per l’abbondanza di comodi giacigli e giochi di ogni specie. Ci sono altri gatti, è vero, però io ottengo una stanza piuttosto grande tutta per me.
“Quale nome hai pensato per la nostra nuova cucciolotta?” chiede Gianni a Cecilia.
“Uhm, vediamo un po’... Elly, ti piace?”
“Sì, è proprio adatto. Quando pensi di portarla dal veterinario?”
“Lunedì, è inutile perdere tempo. Farò eseguire un bel controllo generale e prenderò accordi per la sterilizzazione.”
Non afferro il senso delle loro parole, anche se sono certa che si riferiscono a me. In ogni caso starò in guardia, non si sa mai...
Il fatidico lunedì vengo introdotta in una gabbietta rosa molto elegante, dall’interno della quale osservo altezzosa gli altri mici. Essi ricambiano con strane occhiate che, non ci giurerei, ma mi paiono proprio canzonatorie.
Quando mammy mi sistema sul sedile posteriore dell’auto, sono assalita dal panico: non mi riporterà al ristorante? Poi noto che il tragitto è completamente diverso e mi tranquillizzo. Giungiamo infine in un luogo sconosciuto, dove alcuni umani, completi di cani o gatti, sono in attesa di non so che cosa. Un’ora dopo finalmente arriva il nostro turno. Entriamo nel gabinetto di visita dove un signore biancovestito scruta in tutti i miei orifizi e palpeggia le mie parti molli, emettendo infine la sentenza: "Questa micia è gravida, signora."
"Ma come..." balbetta Cecilia esterrefatta, "gravida?"
"Sì, però mi pare proprio che i feti siano morti, quindi è meglio intervenire subito. Da stasera tenga la gatta digiuna e domattina me la riporti."
"Intesi," sospira mammy.
Di che cosa stiano parlando, io non comprendo proprio ma, vedendo Cecilia seria e taciturna, penso sia accaduto qualcosa di grave. Allora il terrore di qualche orribile disgrazia mi assale, mi stringe la gola dalla quale escono lamenti soffocati.
“Non piangere, Elly,” mi consola lei, “ora andremo a casa e staremo insieme per il resto della giornata. Sei contenta?”
“Oh sì, così va bene,” miagolo felice, dimenticando l’impressione negativa di poco prima.
L'indomani tutto si ripete come la mattina precedente: stessa gabbia, stesso tragitto, stesso ambulatorio, dove però un’iniezione molto dolorosa mi fa perdere in pochi secondi il senso della realtà, immergendomi in uno stato di stupore allucinato.
Qualche tempo dopo riprendo un parziale controllo delle mie facoltà: ho la netta sensazione di avere ingoiato della sabbia, mani e piedi non rispondono, se non in minima parte, agli stimoli del cervello che, stretto in una morsa di metallo, lavora a scartamento ridotto. Oltre a ciò mi duole il ventre, e non desidero né mangiare né bere.
“Che cosa mi è accaduto?” rimugino preoccupata, mentre mammy mi si avvicina per accarezzare il mio corpo semi paralizzato.
Anche i miagolii, con cui tento di comunicare con lei, escono distorti, tant’è che abbandono ogni tentativo.
“La sola cosa da fare è dormire,” decido allora lasciandomi invadere da una rilassante sonnolenza.
Fortunatamente il giorno successivo, a parte qualche residuo dolore alla ferita del ventre, riprendo pieno possesso del mio corpo.
Trascorrono così giorni felici, e io mi convinco sempre più che la vita d’ora in avanti sarà una piacevole passeggiata per me. Quindi, quando apprendo per caso che i miei tutori si apprestano a partire per le vacanze, sono impreparata a fronteggiare la situazione. Anche se non ho proprio idea di che cosa siano queste “vacanze”, suppongo debba trattarsi di qualcosa di tremendo. Alla mia richiesta di spiegazioni, Cecilia risponde con una tiritera in cui parole mai udite come “mare”, “ferie”, “riposo”, sommate all’ansia che per tutta la giornata l’ha attanagliata, non fanno altro che peggiorare le cose.
Il giorno successivo mi rendo conto che sto per essere abbandonata... oh no! Di nuovo? In una casa che non conosco, con gente estranea, senza le uni-che persone al mondo che mi abbiano compresa e aiutata!
“Non voglio, non posso sopportarlo!” miagolo disperatamente.
Ma i miei amici sono irremovibili: le ferie sono già state programmate mesi prima...
“Non potete farmi questo!” insisto. “Che ne sarà di me? Ora che mi stavo abituando a una nuova vita finalmente serena; non lasciatemi, vi prego...”
"Chiederemo a qualcuno di venire a farle compagnia, in modo che non si senta troppo sola," propone papà a mammy che singhiozza angosciata.
Io sono disperata e, quando sento l’auto allontanarsi, esprimo il mio dolore con reiterati miagolii.
Trascorrono nella più triste apatia i giorni seguenti: non ho appetito, non ho voglia di giocare, né di riposare. Miagolo a più non posso la morte che ho nel cuore, senza tuttavia alcun apprezzabile mutamento della situazione.
Nonostante la cat-sitter procuratami da papà, le mie giornate sono solitarie. Non faccio che pensare alla mia mammy. Mi mancano tanto le sue carezze, le sue parole, la sua presenza!
“Torneranno?” mi chiedo ogni momento, ma la risposta che si presenta alla mia mente è troppo penosa da accettare.
E invece un giorno, in cui non sono riuscita a toccar cibo, ecco dei passi affrettati lungo le scale. Drizzo le orecchie in un lampo di euforia, annuso l’aria in cerca della traccia odorosa dei miei protettori, mi avvicino alla porta che in quel momento si spalanca.
"Ciao, dolce Elly," mi saluta Cecilia con voce rotta dall’affanno della corsa.
Sono felice... mi struscio contro le sue gambe e le confido cose che, vedo bene, non comprende ma che spero le diano la misura del mio amore per lei.
“Mia madre mi ha raccontato che non mangiava quasi più," comunica Gianni a sua moglie. "Era molto abbattuta e continuava a miagolare in maniera strana...”
“Ah sì? E che cosa avevano di strano i suoi lamenti?”
“Beh, sembrava volesse comunicare il suo stato d'animo a chi le stava accanto…"
“Non ho mai sentito di gatti che tengono discorsi sulle loro emozioni!” sorride scettica Cecilia.
I giorni, divenuti finalmente sereni, trascorrono lievi e spumeggianti come brezza marina – ora so di che si tratta perché mammy mi ha raccontato tutto sulle sue vacanze - e la vita riprende il suo corso normale. Finalmente assaporo la tranquillità, anche se, tutte le volte che papà e mammy escono da casa, miagolo il terrore di essere lasciata nuovamente sola; il desiderio che mi si stia accanto, che mi si coccoli e mi si parli; la disperazione delle ore vuote come bolle di sapone. Cecilia comprende i miei timori e cerca di ’intrattenermi spesso, sapendo quanto la sua voce sia un balsamo per le mie angosce.
“Ciao, Roberta, entra pure. Che bella sorpresa! Come mai da queste parti?” chiede mammy a una sua amica che è passata a farle visita un sabato pomeriggio. Le sento parlare, ridere, scherzare, e io me ne sto accovacciata ai loro piedi a seguirne i discorsi.
“Dai Roberta, raccontami le tue avventure estive.”
“Miao,” sussurro incuriosita.
Occhiata in tralice dell’ospite che esordisce: “Sai che questa estate Berta e io siamo andate in vacanza in Portogallo, no? Beh, appena arrivate in albergo…”
“Miao, miao…” insisto perché gradirei sapere chi è questa Berta.
“Taci micina, lasciami proseguire,” mi ingiunge Roberta con un sorriso.
“All’albergo dunque ci informano che le nostre stanze non sono disponibili. Figurati Berta! Si mette a discutere - documenti alla mano - con il povero impiegato, dimostrandogli che, non solo avevamo fissato il periodo per iscritto, ma che l’albergo ci aveva anche confermato la prenotazione!”
“Miao, mao, miao…” interloquisco indignata.
Sguardo sorpreso di Roberta che però prosegue: “A un dato momento, attirato dalla vivace discussione, si presenta il direttore, un fusto dai capelli brizzolati il cui fascino riesce a zittire persino Berta!”
“Miao, miao…” mi intrometto per avere la descrizione esatta di quel “fusto”.
Altra occhiata infastidita dell’ospite.
“Alla fine siete riuscite ad avere le vostre stanze?” tergiversa Cecilia.
“No, ma siamo state sistemate nella dépendance dell’albergo. Il direttore poi, per farsi perdonare, ci ha invitate a cena in un meraviglioso ristorante sul mare. Una serata memorabile!”
“Miao, marmarmao, miao…” commento impressionata.
“ (?) … A parte il cibo, d’altronde ottimo, tutto sembrava la bella copia della favola di… come si chiama?”
“Miao, miao…” suggerisco.
“Sì, proprio Cenerentola. Beh, ma che cosa faccio? Rispondo alla tua gatta?” si chiede la buona signora che, sbalordita per i miei reiterati interventi, continua scuotendo il capo: “Beh, Berta s’è presa una cotta per lui e, ti assicuro, anch’io... insomma... L’indomani, prendiamo possesso delle nostre sedie a sdraio in piscina, non dimenticando di scrutare in ogni dove per scovare il nostro affascinante direttore.“
“Miao, miao?” domando con un sospiro.
“Eh sì, proprio un tipo interessante! Ma per un paio di giorni non riusciamo a vederlo: sembra svanito nel nulla. Allora Berta e io ci rechiamo dal portiere e, con una scusa, chiediamo di parlare al direttore. Dopo qualche minuto, si presenta una distinta signora chiedendoci in che cosa può esserci utile.”
“Miao, miao, miao…” osservo stupita.
“ (?) … Serve più di qualche attimo per riaverci dalla sorpresa, poi Berta riprende il controllo e narra alla direttrice le nostre disavventure. Da questo cordialissimo colloquio apprendiamo che il tipo affascinante è solo il capo della reception! Atroce delusione della buona Berta!
- Però - le dico io - sempre attraente rimane, anche se proprio non direttore!”
“Miao, miao…” sorrido d’accordo.
Il racconto procede quindi in tono ilare, e mammy si diverte moltissimo ad ascoltare le vicende esilaranti delle due turiste alla ricerca del direttore perduto, mentre battute e risate scorrono in abbondanza.
"E adesso, cos’ha da miagolare la tua gatta?" si interrompe a un tratto la visitatrice, stanca di essere subissata dai miei “mao”.
"Oh, a Elly piace partecipare vivacemente alle conversazioni, è una miagolina così!" spiega Cecilia imbarazzata.
E credo sia stato proprio da quel momento che il mio soprannome è diventato definitivamente Miagolina!
(dal libro "Gatti allo Specchio" di Maria Grazia Sereni pubblicato in ottobre 2005)