MAMMA ORSA
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Martedì, 07 Settembre 2021 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
Mi chiamo Daniza e a cinque anni vivevo tranquilla in un meraviglioso bosco sloveno. Non avevo ancora avuto figli, ma sentivo che il tempo della maternità stava per giungere.
In un mattino di aprile, mentre ispezionavo il bosco in cerca dei miei funghi preferiti, vidi avvicinarsi alcuni umani.
Non amo la loro vista, il loro odore, le loro armi, quindi tentai di fuggire.
In passato avevo avuto pochi contatti con questa specie perché i miei genitori mi avevano insegnato che gli umani sono gli unici predatori di cui dobbiamo avere paura.
Mentre stavo fuggendo, sentii un proiettile penetrare a fondo nella mia carne.
“Oh no! Sono spacciata,” pensai poco prima di sentire le membra cedere sotto il peso del corpo, la mente offuscarsi e gli occhi chiudersi.
Convinta di essere morta, fui positivamente sorpresa di destarmi ancora viva, anche se il mio corpo, ancora mezzo narcotizzato, era sballottato da una parte all’altra di un veicolo puzzolente: il bosco della mia gioventù era svanito!
Una collera smisurata invase il mio cervello, e io iniziai a bramire. Non successe nulla.
Quando la stanchezza del trattamento subito e del viaggio sgradevole cui mi avevano sottoposta terminò, arrivai in un bosco, un po’ meno fitto di quello originario ma che mi forniva almeno la possibilità di muovermi in libertà.
Vissi due meravigliosi anni esplorando il territorio e trovando infine un compagno con il quale accoppiarmi.
Feci amicizia con altri miei simili dai quali tuttavia mi separai durante la stagione degli amori.
Trascorsero così molti anni – forse una decina o poco più – durante i quali diedi alla luce ben undici cuccioli.
Fu bello accudirli, vederli crescere e quindi lasciarli andare affinché vivessero la loro vita.
Ora, all’età di diciotto anni, le mie giornate scorrono tranquille. Mi fanno compagnia i miei due ultimi nati – hanno ormai otto mesi – che sono il mio orgoglio.
Questa mattina, mentre con i miei due pupilli sto mangiando delle bacche, vedo avvicinarsi furtivamente un umano che si nasconde dietro il tronco di un albero.
Fiuto l’aria e sento odore di minaccia.
Forse la vecchiaia, anche se non sento ancora il peso degli anni, ha aumentato il mio istinto materno, sta di fatto che sfoggio il mio bramito di attacco e mi avvicino all’intruso.
“Questo è il mio territorio e quelli che hai in mano sono i miei funghi preferiti, quindi o te ne vai o ti caccio io.”
Non so se abbia capito il mio discorso, so solo che non si muove da dietro l’albero.
Allora mi avvicino io e gli rifilo una zampata che, essendosi lui girato per finalmente fuggire, lo raggiunge alla schiena. Con l’altra zampa gli solletico una gamba: non voglio ucciderlo, lo avrei già fatto, voglio solo che lasci in pace me e i miei piccoli.
“Questo è il mio ambiente, non ne ho un altro in cui vivere, quindi vattene,” gli ruglio sottovoce.
E quello se ne va a gambe levate.
Sono un po’ pentita di averlo leggermente ferito, ma questi umani devono imparare a rispettarci. Altrimenti mi dovevano lasciare dove vivevo prima senza problemi di alcun genere. Non ho chiesto io di venire qua.
Un lieve senso di inquietudine comincia a farsi strada nel mio cervello.
“Chissà che cosa succederà ora. Si vorranno vendicare, penseranno che volessi uccidere l’uomo, è meglio che me ne vada con i miei figli lontano da qui!”
Così prendo i piccoli, me li carico sulle spalle e mi allontano il più possibile dal luogo dell’incidente.
Cammino e cammino finché penso di essere al sicuro.
Ho trovato una macchia folta in cui mi sento protetta, anche se con gli umani non bisogna mai stare tranquilli.
Trascorrono i giorni e nulla succede.
Vado sola a procurare il cibo: non voglio che i miei figli corrano pericoli inutili.
Mentre i piccoli dormono sono tranquilla, un po’ meno quando sono svegli perché la loro vivacità mi spaventa.
Oggi, infatti, uno dei due esce dal nascondiglio correndo e ruzzolando; io lo inseguo per riportarlo dentro, quando una squadra di umani mi individua.
“Oh no, stavolta è proprio finita!” penso un millesimo di secondo prima di vedere il mio piccolo cadere a terra a causa di un proiettile sparato dalla combriccola.
Non dovevano farlo, mi avvento verso la compagnia e stavolta, se non mi accoppano prima, li ammazzo tutti.
Fauci aperte e occhi dardeggianti mi avvicino a passo di corsa per vendicarmi, quando un primo e poi secondo proiettile mi raggiungono.
È finita, sento il cuore battere fuori controllo, getto uno sguardo al mio piccolo inerme, mando un pensiero amorevole a quello nascosto, sperando che non lo trovino e quindi mi addormento… per sempre.
(dal libro La fattoria dei sogni edito in luglio 2015)