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L'ULTIMO RIFUGIO DI LUCKY

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Mercoledì, 30 Marzo 2022 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

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Lucky, nonostante il nome, era stato abbandonato dai suoi umani con i quali era vissuto per oltre dieci anni e, in onore al nome – forse –, era finito in un canile (solo il 5% dei cani abbandonati si salvano in un modo o nell’altro – canile/adozione da ritrovamento).

Era un cane anziano con barbetta e baffi che si stavano ingrigendo, le zampe posteriori dolenti e poca voglia di muoversi per conquistare un pasto.

Lo avevano sistemato in un box molto piccolo, dove già vivevano altri quattro cani, fortunatamente anziani pure loro.

Uno dei suoi compagni, affetto da micosi, lo aveva contagiato, e il nostro Lucky presentava sul mantello grosse zone tondeggianti, prive di pelo e arrossate, che prudevano maledettamente. Inoltre, il giorno precedente si era accorto di essere affetto da una fastidiosa parassitosi intestinale – regalo involontario di un altro dei suoi coinquilini (infatti da giorni il box non era stato pulito, e su tutto il pavimento giacevano feci maleodoranti).

Trascorreva le sue giornate su un pallet brulicante di pulci, disteso perché ogni movimento era diventato doloroso (a causa dei reumatismi alle gambe) e faticoso (a causa della debolezza dovuta alla scarsa o nulla alimentazione).

Non aveva più alcun desiderio di abbaiare, e questo era un vantaggio. Infatti – correva voce – alcuni ospiti molto loquaci erano stati sottoposti a un trattamento chirurgico che gli aveva danneggiato irreversibilmente le corde vocali.

Un mese dopo il suo arrivo, per tre giorni consecutivi, nel box fece la sua comparsa solo acqua.

“Ma dove sono capitato?” si lamentò Lucky sollevando faticosamente la testa dal suo giaciglio.

“In un lager,” abbaiò con violenza un compagno di sventura ancora combattivo. “Quando non vengono i volontari, oppure quando non li lasciano entrare – perché succede anche questo, sai? –, nessuno si occupa di noi. Mio padre,” proseguì indicando il più anziano del box, “ha studiato. Fatti raccontare come dovremmo essere trattati!”

“Lo ascolterei volentieri, ma mi sento così stanco che non ho voglia di nulla!” esclamò il povero Lucky.

“La legge n. 281 del 1991,” esordì allora il vecchio cane senza tener conto del nostro eroe, “prescrive che ogni comune possieda il suo canile e il suo gattile. Pochissimi sono in regola; quelli che non lo sono affidano gli animali, di cui dovrebbero occuparsi perché randagi o abbandonati, a privati, pagando un contributo giornaliero.”

“E questo che cos’è?” domandò Lucky. “Un canile comunale o privato?”

“Purtroppo è privato. Infatti il cibo è insufficiente, le condizioni igieniche lasciano a desiderare, le gabbie sono sovraffollate e i controlli sanitari inesistenti: sono qui da due anni e non ho mai visto un veterinario.”

“Moriremo tutti!” sospirò il povero Lucky.

“Ma non è finita qui,” rincarò la dose il vecchio cane. “Ho visto il mio primogenito massacrato di botte – e non so neppure il perché. Ho visto mia sorella svanire nel nulla da un giorno all’altro. Ho visto il mio povero figlio qui presente legato con una catena a un muro perché aveva tentato di accoppiarsi con una cagnetta disponibile (e questo per ben tre mesi!). Ho visto amici cui erano state asportate le corde vocali per evitare che abbaiassero.”

“Basta, ti prego,” supplicò Lucky, “già sono triste per essere stato abbandonato dal mio umano dopo oltre dieci anni di convivenza, già sto in un posto lurido e maleodorante, già sono pieno di acciacchi, non posso sopportare altre notizie di questo genere.”

“Hai ragione,” rispose il vecchio cane, “parliamo di cose più allegre, vuoi?”

“E quali sarebbero?”

“Domani – ho letto su una locandina – il rifugio sarà aperto al pubblico per la festa di un santo, protettore degli animali – non mi ricordo come si chiama. Quindi oggi dovrebbero pulire le gabbie e dare una strigliatina anche a noi, almeno lo scorso anno è stato così.”

“A cosa vuoi che serva essere accuditi per un giorno?” domandò il nostro eroe.

“Serve a farci sentire meglio e potrebbe servire anche a farci adottare. Di solito in queste occasioni alcuni di noi trovano casa…” dichiarò il vecchio cane.

“Chi vuoi che scelga dei poveri derelitti come noi, tra l’altro già avanti con gli anni?” sospirò Lucky.

“Eh ma sei proprio depresso!” esclamò il figlio del vecchio cane. “C’è qualcosa che possiamo fare per tirarti un po’ su?”

“Purtroppo no. L’unica cosa che mi potrebbe ridare la carica sarebbe tornare a casa mia, ma questo – lo so – è impossibile. Allora lasciatemi dormire… sono tanto stanco!”

“Da tre giorni non tocchi cibo. Ci sono delle crocchette in quella ciotola, alzati e mangiane un po’. Sono piuttosto secche ma è sempre meglio di niente.”

“No, no, grazie non ne ho voglia… servitevi voi!”

La conversazione ebbe forzatamente termine a causa dell’impossibilità di Lucky a proseguire il discorso.

L’indomani la sua carcassa fu portata all’inceneritore per la cremazione.

(dal libro di Maria Grazia Sereni “Azzurre come il mare” pubblicato in marzo 20)