ADOTTARE UN GATTO ED ESSERE FELICI
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Venerdì, 06 Maggio 2022 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
“Tutti i miei amici hanno un gatto. Perché noi non possiamo? È così piccolo, che disturbo vuoi che dia!” si lamenta Riccardo.
“Non abbiamo soldi da buttare!” esclama la madre. “Mi sono informata: per comprare un gatto di razza ci vogliono minimo 500-1000 euro. Aggiungi poi il cibo, le vaccinazioni, il veterinario per eventuali problemi di salute, la sterilizzazione e quant’altro. No, non è roba per noi!”
Riccardo china la testa, ma in cuor suo decide di fare delle ricerche: nella sua breve esistenza non ha mai abbandonato un’idea senza prima aver lottato per essa.
L’indomani ne parla con l’amico Carlo, chiedendogli se suo padre è in grado di procurargli un gattino che non costi molto.
“Purtroppo no. Mio padre fa solo il veterinario, non tratta la compravendita di animali. Se vuoi, ti posso procurare l’indirizzo di alcuni allevamenti,” dichiara Carlo.
“Mia madre afferma che un gatto di razza costa troppo,” sospira Riccardo.
“Allora perché non vai al gattile comunale? Là hanno un sacco di micini da sistemare. Tra l’altro, se ne adotti uno, s’incaricano loro delle vaccinazioni e della sterilizzazione al momento opportuno.”
“Davvero? Questo non lo sapevo…”
“E poi, a dirla tutta, faresti anche una buona azione; pensa a quanti gatti vivono in condizioni misere! Salvarne anche uno solo è importante. La gente, sai, non valuta queste cose. Mio padre, per fortuna, è del mio stesso parere e consiglia sempre il gattile ai clienti che desiderano un gatto e il canile a quelli che vogliono un cane.”
“Grazie amico, stasera ne parlerò con mia madre. Spero proprio di convincerla!”
La sera Riccardo racconta alla madre il colloquio con Carlo, ma lei nicchia: “Un gatto in casa porta molti problemi… non so se papà sarebbe d’accordo. Dobbiamo prima parlarne con lui. Lasciami qualche giorno, poi ti dirò.”
Il ragazzo allora sbuffa: “Tu pretendi da me un sacco di cose. Una volta che te ne chiedo una io, non sei disponibile! Lo sai da quanto tempo desidero un micino! È tanto difficile accontentarmi? I miei amici che vivono con un gatto non mi hanno mai raccontato di aver incontrato problemi insormontabili. Certo, un animale in casa procura delle limitazioni, ma porta anche tanta gioia. Possibile che tu non capisca?”
“Senti, Riccardo, non posso decidere io da sola. Devo parlarne prima con tuo padre. E poi, ti rendi conto di quanto lavoro in più procuri un gattino?: la cassetta dello sporco, i piatti, il cibo, la roba da lavare… e non so più che altro, so solo che si tratta di un impegno notevole. E le vacanze? Hai pensato a chi si occuperebbe del gatto durante le vacanze?”
“Se prenderemo un micio, io mi impegno ad accudirlo: a dargli da mangiare, a pulire le cassette e a farlo giocare. Per quanto riguarda le ferie estive, sentirò i miei amici come hanno risolto il problema.”
“Voi ragazzi siete tanto bravi a fare promesse, ma quando si tratta di mantenerle è tutta un’altra storia!” sbotta la madre, forte della sua esperienza.
I due si separano amareggiati, lui andando in camera sua e lei in cucina.
Al rientro il padre si deve sorbire il racconto delle nuove richieste del figlio e le lamentele della moglie che: “Non sono per niente disposta a sobbarcarmi del lavoro in più per un capriccio del nostro ragazzo!”
Dopo cena, il padre parla con Riccardo: “Dimmi un po’. Perché desideri un gatto?”
“Perché è piccolo e meglio gestibile di un cane in appartamento. E poi ho sempre amato i gatti: sono morbidi, coccoloni e hanno un carattere indipendente.”
“Lo sai che, se dovessimo adottarne uno, te ne dovrai occupare anche quando non ne avrai voglia, vero?”
“Sì, lo so, e l’ho già detto a ma’ che lo farò volentieri. E poi ho telefonato a Carlo – figlio di un veterinario –, e lui mi ha assicurato che per le vacanze non c’è problema: suo padre tiene a pensione gli animali dei clienti.”
“Chissà quanto costa!” esclama il padre. “Conosci la nostra situazione: in questo momento non possiamo permetterci spese supplementari.”
“Domani chiederò a Carlo quant’è la spesa, così facciamo due conti.”
Un barlume di speranza si è accesa nella mente del nostro eroe dopo la conversazione con il padre.
L’indomani, a scuola, Carlo è subissato di domande tanto che, alla fine, è costretto a tacitare l’amico con la promessa che ne parleranno durante l’intervallo.
“Quanto costerebbe lasciare un gatto in pensione da tuo padre?” affronta subito l’argomento Riccardo.
“Non lo so di preciso, penso una decina di euro il giorno, chiederò il costo esatto a papà e poi ti saprò dire.”
“C’è qualche altra possibilità, che tu sappia?” insiste Riccardo.
“Chiedi a Lu. Mi pare che abbia un gatto preso al gattile. Forse ti può aiutare,” suggerisce Carlo.
Riccardo si rivolge allora a Lucrezia, detta Lu, che gli racconta: “Da anni desideravo un gattino. Mi piacevano soprattutto i certosini – sai quei bei gattoni grigi con il pelo rasato e folto? – e così un bel giorno visitai un allevamento, dove adocchiai un cucciolino di pochi giorni. L’allevatore mi spiegò che dovevo aspettare almeno un mese e mezzo per averlo perché doveva essere prima svezzato. Non stavo più nella pelle dall’eccitazione. Così chiesi a mia sorella Doriana – quella sposata – di aiutarmi a convincere babbo e mamma. Lei si rifiutò…”
“Perché?” chiede il nostro eroe, “non le piacciono i gatti?”
“Lei è un’amante degli animali e in quell’occasione mi raccontò che nei gattili – dove raccolgono mici di ogni tipo, da quelli abbandonati a quelli randagi – si trovano sempre cuccioli da adottare. Mi spiegò anche che togliere un micio dal gattile è dargli la possibilità di una vita migliore, e che il gatto te ne è riconoscente per il resto dei suoi giorni. Io non sapevo nulla di questa opportunità, ma sposai subito la tesi di mia sorella. Fu così che al gattile comunale trovai un micetto di due mesi – un meticcio di certosino – che, anziché gli occhi arancio classici della razza, mi osservava con due occhi verdi e un musetto dolce e timido. Mia sorella e io riuscimmo a convincere i nostri genitori che, pure loro amanti degli animali, non si fecero pregare troppo. Ora Andy sta con noi da due anni, e io mi chiedo sempre come ho fatto a vivere tanto a lungo senza un gatto!”
“E le vacanze? non sono un problema per voi?”
“Al gattile si erano dichiarati disponibili a tenerlo per il periodo feriale, ma io ho preferito portarlo in vacanza con noi.”
“Con voi? E come fate? Voglio dire, non scappa quando si trova in un’altra città o in un altro ambiente?”
“Certo che no. Noi andiamo sempre in montagna, dove abbiamo affittato un appartamento. Andy resta in casa per tutta la durata della vacanza, come del resto succede in città. A volte ho provato a mettergli un guinzaglio e a condurlo fuori per una passeggiata, ma lui non accetta volentieri il guinzaglio. E poi è anche molto pauroso, così preferisce restare in casa.”
“Pensi che al mare sarebbe la stessa cosa?” domanda il nostro amico.
“Se avessimo un appartamento al mare, non cambierebbe proprio nulla, credimi.”
“Grazie Lu, mi sei stata di grande aiuto. Se i miei genitori dovessero concedermi di adottare un gatto, verresti con me al gattile per sceglierlo?”
“Volentieri.”
Quella stessa sera, durante il pranzo, il nostro eroe racconta ai genitori quanto appreso e, con occhi speranzosi, attende la risposta.
I due si guardano, la madre fa cenno di no e il padre parla: “Mi dispiace, Riccardo, ma per il momento è meglio soprassedere. Più in là si vedrà…”
Il ragazzo china il capo, si alza da tavola e se ne va nella sua stanza. Una rabbia impotente gli pervade il corpo: non può fare nulla contro la volontà congiunta dei genitori, ma non rinuncerà al suo sogno, né ora né mai!
L’indomani nel pomeriggio si reca al gattile – solo, non se la sente di avere compagnia, nemmeno quella di Lu –, dove dichiara di voler adottare un gatto. Un volontario gli mostra allora i piccoli sopra i due mesi. Riccardo ne sceglie uno non bello ma simpaticissimo, con due orecchie enormi a fronte di un musetto affilato.
“Lo chiamerò Wish, come desiderio in inglese, perché è da molto che desidero un gatto,” spiega all’addetto.
“Lei è maggiorenne?” chiede quest’ultimo.
“No, perché? Ci sono problemi?”
“Sì, noi possiamo dare in adozione i gatti solo a persone maggiorenni o a minorenni accompagnati da un responsabile.”
“Senta, allora domani tornerò con i miei genitori. Mi potrebbe tenere questo gattino? Voglio dire, non affidarlo?”
“Glielo posso tenere per un giorno, non di più… lo sa anche lei come vanno queste cose!”
Riccardo corre a casa di Lucrezia, le racconta quello che è accaduto e resta impalato a guardarla senza il coraggio di chiedere nulla.
“Si può sapere che intenzioni hai?” domanda la ragazza incuriosita.
“L’unica cosa chiara nella mia mente è che io voglio quel gattino. Potrei tenerlo in camera mia, sistemarlo in cantina, condurlo in campagna da mio nonno – anche se là vivono diversi cani – o forse portarlo semplicemente a casa e vedere che cosa succede. Il problema è che ci vuole un adulto per farselo affidare, e io non so proprio dove andare a trovarlo.”
“Mmm,” mormora Lucrezia, “sei in un bel pasticcio, sai! Non è che ti serve solo un adulto ma un adulto consenziente che fornisca al gattile i suoi dati. Perché non ne parli con tuo padre? Magari non è contrario come tua madre, o almeno così mi è parso di capire dai tuoi racconti.”
Riccardo tentenna, ma comprende pure lui che è l’unica soluzione. Saluta la sua amica e si reca all’ufficio del padre. Ha deciso che lo attenderà fino all’uscita perché desidera parlargli in privato.
“Ehi, Riccardo, che ci fai qui?”
“Ciao, pa’, ti devo parlare.”
“È ancora per la storia del gatto?”
“Sì,” sospira il ragazzo, “aiutami, ti prego. Sono andato al gattile e mi sono innamorato di un gattino di due mesi, ma non me lo danno se non sono accompagnato da un adulto. Vuoi fare questo per me?”
“Anche a me piacciono i gatti, ma sai come la pensa tua madre e, a mio parere, non ha torto. In fondo grava tutto sulle sue spalle. Devi capire che lei ha il suo lavoro di segretaria e in più manda avanti la casa senza nessun aiuto. Credo che abbia ragione di pretendere che noi non la stressiamo con impegni ancora più gravosi…”
“Ti do la mia parola che mamma non avrebbe la benché minima noia dal gattino. Lo terrei in camera mia e me ne occuperei di persona. Per favore, per favore, parlagliene stasera. L’incaricato del gattile mi ha promesso di tenermelo fino a domani pomeriggio, così, se mamma è d’accordo, potremmo andare a prenderlo quando esci dall’ufficio.”
“Va bene, tenterò, ma non ti prometto nulla.”
Miracolosamente il benestare è concesso senza neppure troppe insistenze, e il giorno successivo Wish fa il suo ingresso in casa.
La stanza di Riccardo è la sua dimora perché la madre ha posto come condizione che il resto dell’appartamento non sia inquinato dalla nuova presenza – proprio così l’ha definita!
Il micino si è adattato bene e ogni notte dorme con Riccardo, inondandogli i sonni di fusa.
Trascorrono in questo modo un paio di mesi, mesi in cui Wish non ha procurato guai di nessun genere. Il suo corpo cresce di giorno in giorno e il suo buonumore altrettanto.
Una domenica il micino trova la porta della camera di Riccardo semi aperta e, curioso come tutti i gatti, si intrufola in soggiorno. La madre sta rammendando alcuni capi di abbigliamento, quando Wish si presenta davanti a lei con una buffa espressione interrogativa: “Posso tenerti compagnia?”
“Che cosa ci fai qui?” chiede la madre incerta.
La sua originaria sorpresa viene ben presto soppiantata dalla curiosità per quell’essere tanto simpatico. Allunga allora una mano per accarezzare il gattino che le offre la schiena ingobbita e alza anche le zampe anteriori per in-contrare prima la carezza.
Wish sa come conquistare gli umani, quindi mette in atto la strategia “sofficeèilmiopancino”. Si corica e offre la pancia alle carezze umane che non tardano ad arrivare. Socchiude gli occhi e riempie la stanza di fusa talmente sonore che il padre si affaccia dalla cucina per investigare su quello strano rumore. Sorride, osservando benevolo la scena.
“Se vuoi, puoi lasciare la porta della tua stanza aperta, così il micino ha più spazio per muoversi,” dichiara con noncuranza la madre quella sera. “Però il cibo e la cassetta dei bisogni devono restare dove sono.”
Riccardo è felice, come lo furono, da quel momento in poi, tutti i membri della famiglia.