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L'OCA ADELINA

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Giovedì, 04 Agosto 2022 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

oca adelina

Mamma oca conta i suoi neonati e con richiami sommessi li invita a seguirla.

L’unica femminuccia del gruppo, anziché obbedire, si attarda a osservare uno strano oggetto a pochi passi da lei, gli si avvicina e nota che si tratta di un verme.

Ancora un passo e l’ochetta avrebbe raggiunto l’appetitoso bocconcino, ma un colpo d’ala del padre la allontana dalla preda.

“Non devi mai – e sottolineo mai – avvicinarti a bocconi troppo invitanti: nascondono sempre una trappola. Raggiungi i tuoi fratelli e seguite vostra madre. Avanti!”

Adelina sbuffa contrariata, ma non c’è altro da fare che obbedire.

Dopo un attimo è in acqua con i fratelli, mamma in testa alla fila e papà in coda.

È la prima volta che si immerge, e l’acqua le dona una sensazione di favolosa euforia.

Segue con interesse le lezioni di mamma sulle erbe commestibili, e ogni contrarietà è ormai sparita dalla sua mente.

La sera i genitori con i loro piccoli entrano nella tana che il padre ha predisposto per tutti loro e si apprestano già a dormire, quando Adelina, pur assonnata, chiede: “Raccontatemi una storia.”

I genitori si guardano stupiti: nessuno dei loro figli ha mai fatto richieste del genere e, d’altra parte, loro non conoscono storie.

“Aspetta,” cinguetta mamma oca, “potremmo raccontare di nonna Gelinda. Che ne dici, caro?”

“No, assolutamente no, quella è una storia orribile! Non vorrai spaventare i piccoli?”

“Sì, mamma, raccontaci delle storie paurose, tanto noi siamo qui al sicuro con voi,” supplica Adelina.

“Volete tutti un racconto terrificante?” chiede allora mamma oca.

“Io ho sonno,” risponde un piccolo.

“A me non interessano le storie,” afferma un altro.

“No, io preferisco le favole,” lamenta un terzo.

Mentre gli altri due già sono immersi nel mondo dei sogni.

“Va bene, dormite pure voi, io racconterò di nonna Gelinda solo ad Adelina. Vieni qua vicino a me, tesoro. Devi sapere dunque che nonna Gelinda era un’oca domestica che abitava in un capannone, dove diverse oche erano tenute in gabbie e allevate per essere mangiate.”

“Mangiate? Da chi?” chiede Adelina.

“Ma dagli umani, tesoro! Un brutto giorno però la nonna fu prelevata dalla gabbia e portata in un altro locale, dove stavano diverse oche e anatre grasse da scoppiare.

-      Bene -, pensò Gelinda, - qui si sta meglio di dov’ero prima, guarda come sono grasse le mie compagne!

Mai giudizio fu più sbagliato!

Qualche minuto dopo il suo arrivo in quel posto sinistro, giunse un umano che le aprì il becco, le infilò un tubo di metallo in bocca giù giù fino allo stomaco, provocandole dolorose lesioni all’esofago. Terminata l’operazione, l’uomo infilò nel tubo del mais cotto, salato e condito con grasso. Otto volte il giorno fu sottoposta a questa tortura e, nel giro di un paio di settimane, anche nonna Gelinda aveva raddoppiato il suo volume.

La poverina, nei rari momenti in cui non era alimentata forzatamente, aveva chiesto spiegazioni alle sue compagne che le avevano raccontato quello che sarebbe accaduto in seguito.”

“Che cosa sarebbe accaduto?” chiede ansiosa Adelina.

“Le dissero che nel giro di un paio di giorni sarebbe stata uccisa e il suo fegato, ammalato di steatosi per l’eccesso di alimentazione, sarebbe stato utilizzato per il foie gras.”

“Ma che strane parole usi, mamma. Io non capisco niente. Spiegati meglio per favore.”

“La steatosi è una malattia delle cellule del fegato che accumulano grasso, nel caso di nonna Gelinda a causa dell’alimentazione eccessiva. Mentre il foie gras è il fegato ammalato che viene cucinato per essere mangiato dagli umani.”

“Allora nostra nonna è stata uccisa e il suo fegato mangiato?”

“Aspetta che termini la storia per avere la risposta.

Quando nonna seppe a che cosa andava incontro, decise che urgeva fare qualcosa. Parlò con un’amica che stava nella sua stessa gabbia, esaminarono attentamente tutti i dettagli e quindi misero in atto un piano per sfuggire alla sorte che le attendeva.

Quando sentirono aprirsi la porta del capannone, si stesero sul fondo della gabbia e chiusero gli occhi respirando a fatica. L’uomo che le doveva ingozzare le osservò e decise di portarle subito nel laboratorio dove erano estratti i fegati. Nel momento in cui la porta della gabbia si aprì, però, le due oche balzarono fuori e si diressero verso la finestra cercando di volare. L’amica di nonna non ce la fece e fu ripresa, mentre Gelinda riuscì con uno sforzo tremendo a librarsi fino alla finestra e a infilarla.

Era fuori, sì, però stava talmente male che fu tentata di tornare indietro. Poi si rammentò della fine che la attendeva e decise di proseguire. Poco dopo udì l’uomo sbraitare che un’oca era fuggita e fischiare al cane affinché lo aiutasse a ritrovarla.

Gelinda si nascose dietro una balla di fieno, tremante di paura. Il cane la individuò subito ma, prima che abbaiasse, lei lo supplicò: - Ti prego, non tradirmi, guarda come sono ridotta, dammi una possibilità di fuga, fallo per solidarietà!”

Lui la annusò, soppesò le sue parole e decise di andarsene a ispezionare altrove.

L’oca, sempre tremante, saltellò fino alla recinzione che riuscì a sorvolare dopo tre tentativi.

-      Libera! - si disse, - ora sono veramente libera!

Si inoltrò in un boschetto, becchettò delle erbe che l’avrebbero aiutata a migliorare la salute – e forse anche a guarire il suo fegato malandato –, quindi svolazzò su un albero. Là, nascosta tra il folto dei rami visse un’intera settimana.

Le mancava molto l’acqua, così, un po’ più magra di quando era nel capannone, decise di scendere dal suo rifugio e mettersi alla ricerca di un lago dove poter, magari, anche incontrare suoi simili.

Cammina e cammina, finalmente arrivò a un fossato dove sguazzavano felici delle anatre selvatiche. Le salutò e si unì a loro, sentendosi finalmente rinascere.

Poi conobbe un bellissimo cigno che si innamorò di lei ed eccomi qui: io sono il frutto del loro amore!” terminò la mamma con uno strano luccichio negli occhi.”

“Ma questa non è una storia terrorizzante: va a finire bene!” dichiarò Adelina.

“Avresti preferito che tua nonna fosse stata uccisa e mangiata?” chiese stupita mamma oca.

“No, certo che no… però il tuo racconto non era… insomma non so come dire. Se nonna Gelinda fosse stata riacchiappata e fosse fuggita di nuovo; oppure se il cane l’avesse tradita, ci sarebbero state più emozioni, non pare anche a te, mamma?”

“Se vuoi emozioni forti, accomodati. Esci dal nido e vattene a gironzolare di notte, anziché dormire tranquilla accanto a noi.”

“No, no, preferisco stare qui con voi. Un conto sono le parole, un altro i fatti!”

(dal libro di Maria Grazia Sereni “Azzurre come il mare” pubblicato in marzo 2013)