TRE FORME DI ETICA
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- Pubblicato: Domenica, 12 Febbraio 2017 00:00
- Scritto da ADMIN
Si distinguono tre forme principali di etica: deontologica, consequenzialista (che include l’utilitarismo) e fondata sulla virtù.
Secondo l’etica definita “deontologica”, o del dovere, certi atti non devono essere commessi in nessuna circostanza, indipendentemente da quali possano essere le conseguenze. Immanuel Kant è il sostenitore più conosciuto di questo “imperativo categorico” che, talvolta, può avere implicazioni inaccettabili.
Kant sostiene, per esempio, che non si dovrebbe mai mentire, neppure a un criminale che ci chiedesse dov’è nascosta la sua potenziale vittima. Se mentissimo al criminale, seppure allo scopo di risparmiare la vittima, faremmo crollare uno dei fondamenti e dei presupposti della vita sociale, ovvero che si deve sempre affermare la verità. Non rispettando questo imperativo categorico, secondo il filosofo, commettiamo un’ingiustizia nei confronti dell’umanità in generale.
L’etica consequenzialista consiste nel giudicare la fondatezza di un certo gesto in funzione delle sue conseguenze. È il punto di vista utilitaristico espresso, in particolare, da Stuart Mill e Bentham. Più umano perché maggiormente vicino alla realtà vissuta, l’utilitarismo può comunque condurre a eccessi e derive. Mirando al “benessere della maggioranza”, potremmo per esempio giungere a valutare che sia lecito (come hanno fatto eminenti pensatori dell’antica Grecia) possedere cento schiavi se ciò può rendere felici mille cittadini liberi. Possiamo ben immaginare a quali estremi si possa arrivare se questo ragionamento non è temperato da altri principi e virtù, come la giustizia, la saggezza o la compassione.
L’etica della virtù è quella proposta, tra l’altro, dal buddismo e da alcuni pensatori dell’antichità classica. È basata su un modo di essere che, confrontandosi con le varie situazioni, si esprime spontaneamente attraverso gesti egoistici o altruistici. Come scriveva lo scienziato e filosofo Francisco Varela, una persona autenticamente virtuosa “non agisce secondo una certa etica, ma l’incarna, proprio come un esperto agisce secondo le proprie conoscenze. Il saggio è etico, o più esplicitamente, i suoi gesti sono l’espressione delle decisioni generate dal suo modo di essere, in risposta a questa o quella situazione”.
Un’etica meramente astratta, che non si basa su un modo di essere e non prende in considerazione la specificità delle circostanze, è di ben poca utilità. Nella realtà della nostra esigenza agiamo sempre in un contesto particolare che esige una reazione appropriata. Secondo Varela “la qualità della nostra disponibilità dipenderà dalla qualità del nostro essere e non dalla correttezza dei nostri principi morali astratti”.
Secondo il buddismo, l’etica è parte integrante del progetto di porre rimedio a qualsiasi forma di sofferenza. A tale proposito, esige di rinunciare alle molteplici soddisfazioni egoistiche, procurate dalla sofferenza dell’altro, e nell’impegnarsi a promuovere la felicità altrui.
Secondo tale punto di vista, per soddisfare il suo contratto etico, l’altruismo deve liberarsi dalla cecità e illuminarsi di una saggezza svincolata da malevolenza, avidità e parzialità. L’etica, in quanto modo di essere, deve arricchirsi attraverso l’amore altruistico e la compassione. In tal modo il buddismo è in linea con quanto affermato da Platone: “Il più felice dunque è chi non reca nell’anima sua malvagità alcuna”.
(dal libro “Sei un animale!” di Matthieu Ricard)