FUNNY E LA LIBERTA' 1
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Mercoledì, 28 Dicembre 2016 00:00
- Scritto da ADMIN
Funny era molto nervosa: dal mattino chiusa in una gabbia che, per quanto grande, era pur sempre una limitazione alla sua libertà, non riusciva a svolgere nessuna delle sue attività preferite.
Come avrebbe voluto perlustrare l’intera stanza: c’erano anfratti molto invitanti, con buchi neri proprio della sua taglia, dove lei si sarebbe intrufolata per scoprire che cosa nascondevano.
Sospirò il povero furetto, valutando se, nell’attesa di essere liberata, le conveniva farsi una dormitina.
Si bevve un po’ d’acqua dal gocciolatoio, si pulì il musetto e si coricò nella sua cuccia, un cuscino di morbidissimo pile. Poco dopo era immersa in un sonno profondo popolato da sogni di libertà, corse frenetiche e cacce liberatorie.
Trascorsero così alcune ore, poi la porta dell’appartamento si aprì lasciando entrare mamma e figlia dodicenne.
“Ciao Funny,” gridò subito la ragazzina, accosciandosi accanto alla gabbia e aprendone la porticina. “Vieni, vieni subito a darmi un bacio.”
Il furetto, che da qualche minuto era tornata vigile, si stiracchiò, aprì gli occhi, considerò che l’ora di libertà stava per cominciare e che lei non voleva assolutamente perderne neppure un minuto. Si lanciò allora tra le braccia della sua amica, strusciandosi contro le sue gambe.
La ragazzina stava per darle un bacio, quando la madre intervenne: “No, Clara, è pericoloso. Accarezzala e basta; ti ho già spiegato che i furetti, essendo carnivori, hanno denti molto aguzzi e, se non le andasse di essere manipolata come fai tu, potrebbe reagire con qualche morso, pur non avendo l’intenzione di far male.”
“Uffa, ma perché mi hai preso un furetto se non posso coccolarlo? Mi potevi prendere un cane.”
“Lo sai anche tu che un cane sarebbe stato ingestibile: l’appartamento è piccolo e nessuno avrebbe avuto tempo di portarlo a passeggiare.”
“Non è vero, io lo avrei portato a spasso tutti i giorni. E invece mi hai comprato questo furetto che, lo vedo bene, avrebbe solo voglia di starsene all’aperto e di condurre la sua vita in libertà.”
“Sai che i furetti sono stati addomesticati oltre duemila anni fa e sono pertanto abituati all’uomo. Occorre solo trattarli con un po’ di attenzione per via delle loro reazioni.”
“Saranno anche abituati a noi, ma secondo me, se Funny fosse libera, sarebbe molto più contenta,” replicò Clara un po’ immusonita.
La madre non rispose per non alimentare oltre la discussione.
Il giorno successivo, vigilia di Natale, la ragazzina era impegnata a fare i compiti, quando udì dei potpot provenienti dalla gabbia di Funny che saltellava in tutte le direzioni con l’evidente desiderio di uscire dalla sua prigionia.
“Se ti apro, devi promettermi di non cacciarti in qualche guaio, come l’ultima volta. Intesi?” propose Clara.
Ma la poverina non promise nulla, guardò solo la sua amica con occhi imploranti che raggiunsero lo scopo.
Appena libera, Funny iniziò a correre per la stanza, a eseguire capriole avvitate sul tappeto, a salire sui gradini della scala che conduceva al reparto notte per poi saltellare ora su una zampa ora sull’altra. Insomma la sua vitalità la obbligava a non fermarsi un attimo, neppure per riposare.
L’attività frenetica del furetto durò una decina di minuti, poi si arrestò all’improvviso, lasciando Funny immobile davanti alla scrivania di Clara.
“Che matta! Che cosa ti è successo, eh piccola?” chiese la ragazzina divertita.
Gli occhi del furetto si fissarono in quelli di Clara, implorando “Libertà, libertà, libertà!”
Nella mente della piccola scorsero le parole della sua prof di scienze: “Gli animali selvatici hanno diritto di vivere la loro vita in completa libertà. Quelli addomesticati hanno il diritto di vivere con dignità e di non essere uccisi per soddisfare i nostri stomaci. Chi la pensa diversamente vuole solo difendere privilegi acquisiti.” La professoressa era stata richiamata dalla dirigente scolastica per quelle dichiarazioni che non erano piaciute agli allevatori e ai proprietari di negozi alimentari. Ma quelle frasi si erano impresse nella mente della nostra amica che la pensava allo stesso modo. Tant’è che da quel giorno non aveva più voluto mangiare carne o pesce.
Così Clara decise di ridare la libertà al suo furetto. Non sapeva come fare. La madre era ancora al lavoro e quindi dovette decidere tutto da sola. Mise Funny nel trasportino, sussurrandole parole tranquillizzanti.
Uscì e si diresse verso il parco di fronte a casa, parco che era delimitato da un folto di alberi da una parte e da un fiumiciattolo inquinato che esibiva acque verdognole piene di bolle bianche. Oltre il boschetto, se così vogliamo chiamarlo, si estendevano delle fattorie e dei campi coltivati.
Clara camminò finché raggiunse le prime propaggini del boschetto, posò la gabbietta a terra, aprì lo sportellino attraverso il quale Funny uscì come una furia. Dopo pochi metri coperti dalla sua corsa frenetica, il furetto si arrestò, girò la testolina in un gesto di ringraziamento, si avvicinò di nuovo alla ragazzina, le prese un dito in bocca, lo morse leggermente e corse via, scomparendo.
Tornò a casa la nostra amica. Non sapeva neppure lei se essere contenta per aver ridato la libertà al furetto o se essere triste per la certezza di non rivederlo più.
Dopo poco la madre tornò a casa, vide la gabbia vuota, cercò con gli occhi Funny e, quando non la vide, interrogò la figlia.
“L’ho… l’ho liberata,” balbettò la ragazzina.
“Che cosa? Ma sei impazzita? Perché l’hai fatto?”
“Voleva essere libera. In fondo anche lei ha diritto di vivere la vita che desidera. Non ti pare?”
“E adesso che ne facciamo della gabbia?”
“La daremo a qualche centro che cura la fauna selvatica. Io non voglio più avere degli animali da tenere in gabbia. Preferisco un cane o un gatto. Non sei d’accordo anche tu?”
“Sì, tesoro. Però sono preoccupata per Funny. In fondo era nata in cattività e non ha mai dovuto arrangiarsi per il cibo. Non vorrei che si trovasse in difficoltà.”
“Allora sai che cosa faremo? Ogni giorno andrò nel posto dove l’ho liberata con qualche bocconcino prelibato. Se per una settimana non la vedrò, significa che non ha bisogno del nostro aiuto. Che ne dici mamma?”
“Sì cara, è una buona idea. Ora lasciami andare in cucina, devo preparare i tortelli di zucca per stasera.”