LE MEMORIE DI RICKY
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Giovedì, 14 Maggio 2020 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
Sono un vecchio riccio di dieci anni, aff aff (tosse) e, sentendo avvicinarsi la fine, ho deciso di mettere per iscritto le mie memorie.
La zampa è un po’ tremolante, vedete?, ma spero di arrivare a raccontarvi tutte le avventure che mi sono capitate.
Nacqui dunque sotto una siepe di alloro insieme con due fratelli e una sorella. Mamma tolse con i denti la pellicola che avvolgeva i nostri aculei (molto corti e morbidi a quei tempi).
Poche settimane di allattamento e noi già avevamo messo aculei più forti, quasi come quelli dei nostri genitori.
Una sera nostro padre ci volle condurre in un vigneto per fare una scorpacciata di uva. Lui voleva raggiungere la meta camminando sull’asfalto perché era la via più diretta e breve, ma mamma si rifiutò: “È pericoloso, stiamo nascosti tra l’erba.” Io e mia sorella la seguimmo, ma i nostri fratelli preferirono andare con papà. Proprio in quel momento sopraggiunse un’auto: non più fratelli né padre.
Piansi come sappiamo piangere noi ricci, ma poi: “La vita continua= affermò mamma, e io ripresi la mia spensieratezza.
All’età di sei mesi me ne andai di casa seguito da mia sorella: volevo provare l’ebbrezza della libertà e fare esperienze, molte esperienze. E le feci, sapete?
Finii in bocca a un cane, un enorme pastore tedesco, dal quale scampai miracolosamente infilandogli nel naso qualche aculeo.
Fui inseguito da una volpe che mi avrebbe mangiato di gusto se in quel momento non fosse sopraggiunto uno strano essere a due gambe che poi appresi chiamarsi Uomo.
Ero curioso, così domandai in giro se qualcuno era in grado di spiegarmi che tipo di essere era l’Uomo.
Il racconto che mi fece un amico mi lasciò nel dubbio: non riuscivo a capire se potevo fidarmi o no.
“Per il momento è meglio che stia lontano dall’Uomo” pensai e, preso dalle miriadi di cose che colpivano la mia immaginazione, non ci pensai più per un bel pezzo.
Incontrai una riccia molto carina di nome Sciuscià, me ne innamorai, mi sposai ed ebbi da lei tre bellissimi figli. Quando questi furono autonomi, me ne andai in cerca di nuove avventure.
Capitai in una fattoria dove vivevano molti animali: cavalli, asini (simpaticissimi), mucche, caprette, due pecore musone, tre cani, innumerevoli gatti, galline, anatre, oche, tacchini e una coppia di pavoni che si aggiravano tutto il giorno sull’aia per mostrare il loro piumaggio soffice (il più vanitoso era il maschio con una coda meravigliosa di cui non ho mai visto l’eguale).
Decisi di costruire la mia tana sotto una siepe che divideva la fattoria dai campi coltivati. Per nutrirmi avevo l’imbarazzo della scelta: frutta a volontà nel frutteto e nel vigneto, numerosi tipi di insetti, lucertole, piccole serpi d’acqua (c’erano diversi fossati che servivano per irrigare i campi), rane e così via. Avevo notato che i mungitori delle mucche, terminato il lavoro, mettevano sempre a disposizione dei cani e dei gatti una grossa ciotola piena di latte. Io non ne avevo mai assaggiato, anche perché di giorno evitavo di avventurarmi in mezzo a tutti quegli animali che, ne ero certo, probabilmente non mi avrebbero accolto con entusiasmo. Ma la tentazione mi vinse una sera in cui la ciotola non era stata completamente vuotata, e il latte residuo era ricoperto di mosche nere e succulente. Mi avvicinai guardingo, lappai qualche goccia della bianca bevanda che giudicai assolutamente squisita. Non riuscii a resistere, sapete, e me la scolai tutta.
Non l’avessi mai fatto! Più tardi, quella notte, fui svegliato da forti dolori al ventre che mi mozzavano il respiro.
“Sto sicuramente per morire” pensai e mi pentii di non aver con me un pezzo di corteccia per incidervi le mie ultime volontà.
Verso mattina i crampi diminuirono un poco, forse a causa della diarrea che era sopraggiunta. Per farmi curare decisi allora di recarmi dall’amico Ippocrate, un gufo molto sapiente.
“Non dovrai più farti tentare dal latte: è tossico per voi ricci adulti” mi raccomandò Ippocrate, ordinandomi di mangiare alcune erbe selvatiche che mi avrebbero rimesso in piena forma.
Dopo quell’esperienza, me ne andai dalla fattoria in cerca di nuovi amori. Non lo dico per vantarmi, ma sono sempre stato un dongiovanni, sapete, e molte giovani sono cadute nella mia rete. Anche i figli che ho generato sono parecchi, ma non chiedetemene il numero, ormai ho perso il conto.
Ero già in età matura, quando in novembre un freddo intenso giunse improvviso. Fui colto impreparato, senza una tana né un rifugio dove potermi riparare. Con i muscoli intirizziti e irrigiditi camminavo senza una meta, sperando nella mia buona stella. A un tratto vidi la bocca spalancata di una stanza, dove erano posteggiate due auto. Ero impaurito, sapete, (ricordavo ancora che cosa era successo a papà), d’altra parte quel rifugio poteva rappresentare la mia salvezza. Così decisi di tentare la sorte. Mi intrufolai nella stanza e mi infilai sotto un mobile di legno il cui fondo formava con il pavimento una fessura talmente stretta che sarebbe stato impossibile per un grosso animale vedermi. Fui molto, molto fortunato perché trovai pure una ciotola di acqua, una di crocchette per gatti e del cibo umido, sempre per gatti, deliziosamente profumato. Con la fame che avevo, divorai tutto, pentendomene subito dopo: “E se stessi male come quella volta con il latte?” mi chiesi spaventato, ma non successe proprio nulla se non un sonno profondo e rilassante in seguito a una gradevole sensazione di appagamento.
Ero convinto di aver trovato il paradiso, quando l’indomani fui svegliato da schiamazzi umani.
“Che cosa sono tutti questi escrementi in giro per il garage?” gridò un Uomo.
Avevo mangiato molto, sapete, e quella era la conseguenza della mia abbuffata. Io però non risposi, eh, ma mi spostai ancora più verso la parete per evitare che sentissero anche il mio respiro.
“Sarà stato un gatto con problemi di stomaco” rispose un altro Uomo con voce femminile.
E la cosa terminò lì per quel giorno.
Dopo però che per tre mattine successive la stessa scena si ripeté, l’Uomo femminile decise di andare a fondo della questione. Si stese a terra e cominciò a guardare sotto ogni mobile, finché si avvide della mia presenza.
Ero terrorizzato: “Vuoi vedere che ora mi caccia da qui o mi uccide?” pensai, ma le mie previsioni non si avverarono. Anzi, la sera, quando uscii per mangiare, trovai accanto alle ciotole una cassetta di legno con un tappetino piegato nel quale mi infilai subito per dormire al caldo.
Ogni giorno avevo cibo, acqua e un posto caldo dove riposare. Ero diventato enorme.
Talvolta l’Uomo femminile indossava degli spessi guanti da giardino e mi prendeva in mano per guardarmi e accarezzarmi. In un primo tempo drizzavo gli aculei e mi appallottolavo per difendermi, ma quando compresi che non c’era pericolo, decisi di lasciarmi andare. Nacque così un’amicizia meravigliosa, pensate che spesso la mia amica umana mi coceva delle uova (per cui vado matto), anche se non ho ancora adesso capito come abbia fatto a indovinare i miei gusti.
Arrivò così fine gennaio.
Nelle mie vene cominciò a scorrere un sangue inquieto. Tutte le prelibatezze, le comodità, gli affetti non bastavano più. Sentivo pulsare la voglia di uscire – anche se la temperatura era ancora molto rigida – e di andarmene alla ricerca di qualcosa che placasse il mio desiderio di avventura.
Fu la sera del 29 gennaio che non potei più trattenermi e me ne andai da quel paradiso.
Mentre faticosamente arrancavo verso il portone della libertà, udii l’Uomo femminile chiamarmi: “Ricky, torna a casa, è ancora freddo là fuori, resta qui con me, ti voglio bene…”
Mi arrestai indeciso, ma il mio istinto vinse. Mi girai un’ultima volta a guardare quel viso tanto caro e poi mi buttai nella fredda oscurità.
Incontrai amiche della mia specie con le quali ebbi altri figli. Incontrai la miseria, la fame, la disperazione, fui ferito a una zampa in una lotta per il territorio, ebbi esperienze con Uomini crudeli, ma andai tanto lontano (o forse no?) che non riuscii più a trovare la strada per tornare nel mio paradiso.
Il ricordo che ho di quell’inverno è però dolcissimo perché la mia amica umana ha sempre rispettato i miei ritmi e non mi ha mai obbligato a scelte che non fossero le mie.
Dopo quell’esperienza, nella mia vita non ci sono state più cose interessanti da raccontare, solo normale routine.
Una cosa sola vorrei raccomandare ai miei lettori ricci: non fidatevi dell’Uomo, mai. Prima dovete osservare, controllare, sperimentare e dopo, se vale la pena, potete lasciarvi andare. Un Uomo come la mia amica è davvero raro da incontrare!
(dal libro Animali, amici miei edito in marzo 2010)