MINNIE
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Giovedì, 27 Maggio 2021 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
Quando qualcosa di caldo e molle mi solleva dal ventre di mamma dove sto riposando, mi ribello con un miagolio indispettito.
Anche mamma comincia a ruggire e a soffiare, tanto che la cosa mi rimette al mio posto, non prima però di avermi controllato il sottocoda.
“È un maschietto” sento tra la nebbia del mio udito non ancora ben sviluppato.
“E allora? Ti va bene o preferisci una femmina?”
“No, no, un maschio è perfetto. Lo chiamerò Pimpi. Ti piace?”
“È un nome strano, ma mi sembra bello.”
“Va bene, allora tornerò tra un paio di mesi. Mi raccomando, tienilo bene!”
Meno male che se ne sono andati. Tutto quel sussurrare disturbava il mio sonno. Sono molto stanco perché ho giocato per due ore con i miei fratelli e sorelle e ora voglio solo riposare sul ventre morbido di mamma.
Passano i giorni, diventano mesi e la cosa morbida – che nel frattempo ho identificato come una mano umana – torna per staccarmi dal calore materno e portarmi con sé in un mondo completamente sconosciuto.
Oggi è il primo giorno che non dormo accanto ai miei familiari. Mi sento solo, con molto freddo nel cuore e piango, rifugiandomi sotto un mobile di questa grande stanza.
Mi offrono dell’acqua e del cibo, ma io non ho appetito. Voglio solo tornare dalla mia mamma!
Nel tardo pomeriggio mangio qualcosa e, quando non sento rumori umani nei dintorni, esco e faccio pipì sul tappeto. È bello fare pipì sul tappeto perché scompare subito e non pare neppure che io abbia bagnato.
La sera, quando rientra il mio umano, sono grida di orrore – nel frattempo ho fatto anche popò sul tappeto.
Quello, sempre sbraitando, mi prende e mi ficca il muso in una cassetta piena di sabbia, ordinandomi: “È qui che devi fare i tuoi bisogni, hai capito?”
Poi mi solleva e mi butta nella mia cuccia. Atterro male su una zampina e piango, miagolando, soffiando il mio furore e ruggendo la mia ribellione.
Non si tratta così un povero micino di pochi mesi!
E poi, io non ho imparato la lezione perché noi gatti impariamo solo quando ci si spiega con dolcezza quello che dobbiamo fare – anche se non è detto che lo facciamo, comunque.
Oggi mi sono comportato come ieri, e stasera il mio umano si è arrabbiato molto di più, picchiandomi sulla testa e lasciandomi senza cibo e acqua per tutta la notte.
Sono stanco di questa situazione. Se avessi qualche mese in più, scapperei per tornare da mamma. Anche lei di tanto in tanto mi sgridava e mi rifilava qualche morso educativo, ma mi voleva bene, lo sentivo dalla sua leccata affettuosa.
Per punire il mio umano, oggi faccio pipì sul divano e popò in un vaso di fiori con della terra morbida facile da smuovere.
La sera mi trova rintanato sotto una poltrona nell’attesa di un umano che, lo so già, sarà molto più arrabbiato dei giorni scorsi.
E, infatti: “Si può sapere dove sei? Esci Pimpi, esci altrimenti mi arrabbio sul serio!”
Io non so che cosa fare: quando il mio umano si arrabbia, diventa violento e io sono stufo di subire. D’altra parte devo mostrarmi. È da ieri mattina che non mangio e sono proprio affamato.
Affaccio il musetto per controllare la situazione, ma non vedo nessuno.
All’improvviso una mano di acciaio cala sul mio collo, mi pizzica la pelle e mi estrae dal mio rifugio.
Atterro sul tavolo della cucina, dove il mio umano furibondo mi lancia improperi che ho dimenticato e che, comunque, non avrei mai riferito.
L’unico nutrimento che compare sono strattoni, schiaffi e pugni sul dorso.
Io cerco di fuggire, ma l’umano mi tiene saldamente per la collottola.
Quando la sua ira è un poco sbollita, sono introdotto in una gabbietta.
“Ho fame, ho sete,” miagolo a squarciagola, piangendo la lontananza da mamma e la vicinanza agli umani.
Un calcio alla gabbia mi ammutolisce, e io mi rannicchio in un angolo, spaventato a morte.
Dove sono capitato? Gli umani sono tutti così? Finirà questa tortura? mi chiedo sempre più agitato.
Resto nella gabbia per tutta la notte, senza cibo né acqua. Non so dove scaricare la vescica e l’intestino perché il posto è angusto, e io non voglio dovermi sdraiare sugli escrementi.
Miagolo e miagolo, disperato, affamato, assetato e bisognoso di affetto.
La luce si accende, l’umano apre la gabbia, apre la finestra e mi butta in strada.
Il volo non finisce mai, ma io mi sono girato in modo da atterrare sulle zampe, ho gonfiato il pelo dallo spavento e spero con tutto me stesso che non mi succeda nulla di grave: dove andrei? Chi si occuperebbe di me?
L’atterraggio avviene infine.
Mi stendo su un fianco prima di controllare i danni subiti. Devo calmare il cuore che batte all’impazzata. Poi mi alzo, ma una zampa non mi sorregge e cado di nuovo a terra con un grido di dolore.
Me ne devo andare subito da qui per evitare che l’umano perfido ci ripensi e venga a riprendermi.
Sono certo di ritrovare la casa di mamma se mi impegno, ma oggi sono troppo acciaccato, meglio trovare un buon nascondiglio e attendere domani mattina.
Mi trascino a fatica verso una finestrella aperta sul selciato, guardo all’interno che mi pare sia vuoto. Purtroppo però non me la sento di saltare e allora, contrariamente a tutti i miei propositi, miagolo di dolore, di terrore e di ansia, sperando che avvenga un prodigio.
E il prodigio sta avanzando sulla strada (è un prodigio femmina), si ferma accanto a me, mi raccoglie e: “Oh poverino. Che cosa ti è successo?”
Io glielo spiego, ma lei non capisce, però mi esamina, mi accarezza, mi introduce in un’auto parcheggiata a pochi metri e parte.
Io sto zitto e buono. Amo già quest’umana, che ho battezzato Minnie come la mia mamma, e ascolto la sua conversazione concitata con un apparecchio nero che tiene accanto a un orecchio.
Giungiamo in un posto appartato, Minnie suona un campanello, una porta si apre e io sono accolto con la massima cura da un umano vestito di verde che scoprirò poi chiamarsi veterinario.
Quest’ultimo, dopo avermi visitato, decreta una brutta slogatura alla mia spalla destra.
“Tienilo fermo il più possibile in una cuccia morbida. Somministragli un centimetro di questa pasta il giorno: lo aiuterà a guarire prima.”
Il ritorno è benessere puro. Ho capito che Minnie mi terrà con sé e, soprattutto, sono convinto che sia migliore dell’umano che mi ha strappato all’affetto di mamma.
Una casa confortevole mi accoglie. Non ci sono tappeti – e quindi nessuna tentazione.
“Purtroppo non sono attrezzata per accogliere un gatto, però per stasera ci arrangeremo. Ti dovrò poi trovare un nome. Il veterinario dice che sei una femmina, quindi che ne diresti di Minnie? Ti piace?”
“Ma Minnie era la mia mamma e sei tu, però se ti fa piacere, lo sarò anch’io,” le miagolo in risposta.
E inizia così la mia nuova vita, con Minnie che mi ama di un amore che mi aiuta a dimenticare la malvagità umana, che mi educa con dolcezza ai comportamenti corretti, che mi sostiene nei momenti bui e che mi accompagnerà fino alla morte.
(dal libro La fattoria dei sogni edito in luglio 2015)