LA LEGGENDA DI ULISSE
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Martedì, 15 Giugno 2021 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
Ulisse, re di Itaca, era figlio di Laerte e di Anticlea. Il suo nome in greco era Odisseo.
Una leggenda sostiene però che Anticlea, quando aveva sposato Laerte, fosse già incinta per una sua precedente relazione con Sisifo e che la furbizia di Ulisse fosse stata ereditata dal vero padre.
Quando Laerte abdicò in favore di Ulisse, questi sposò Penelope, figlia del principe spartano Icario e da lei ebbe un figlio, Telemaco.
Dopo qualche anno si verificò il rapimento di Elena da parte di Paride, rapimento che provocò la guerra contro Troia di una coalizione di principi greci.
Anche il re di Itaca avrebbe dovuto partecipare, ma si finse pazzo per non essere costretto a lasciare l’amata Penelope.
Agamennone non credette a questa improvvisa infermità e inviò il sagace Palamede a verificare la situazione. Ulisse si fece trovare mentre arrivava in spiaggia dove iniziava a seminare il sale. Palamede, per smascherarlo, prese il piccolo Telemaco e lo pose davanti all’aratro. Il padre fermò i buoi per evitare di investire il piccolo, svelando in tal modo il suo inganno.
Fu costretto perciò a partire e a unirsi agli altri eroi. Questi ebbero modo di giovarsi immediatamente dell’astuzia di Ulisse per scoprire dove fosse nascosto Achille e per convincerlo a unirsi alla spedizione. Teti, infatti, aveva portato il figlio alla corte del re Licomede a Sciro, e gli aveva fatto indossare abiti femminili, confondendolo tra le altre principesse. Ulisse si recò a sua volta a Sciro travestito da mercante e si presentò a corte con un cesto pieno di nastri, merletti, monili e vari oggetti femminili mescolati a una spada e ad altre armi.
Mentre le fanciulle facevano a gara per acquistare quelle cianfrusaglie, una sola di loro mostrò interesse per le armi e afferrò la spada. Così Achille si tradì e Ulisse poté portarlo con sé da Agamennone.
L’astuzia del re di Itaca si manifestò in vari episodi durante la guerra di Troia. Fu lui a convincere Filottete, abbandonato precedentemente sull’isola di Lemno, a partecipare all’assedio portando le frecce di Eracle, di cui era in possesso.
Assieme a Diomede Ulisse entrò travestito in Troia e rubò il Palladio.
Alla morte di Achille, riuscì con la propria eloquenza a farsi assegnare le armi del grande eroe, ambite anche da Aiace. Quindi ideò il famoso stratagemma del cavallo di legno e la falsa testimonianza di Sinone, inducendo gli sprovveduti Troiani a introdurre nella città il cavallo nel cui interno erano stipati i guerrieri greci. Caduta la città, Ulisse si imbarcò sulle sue navi per tornare a Itaca, ma il suo viaggio di ritorno, durato 10 anni, fu travagliato da una serie di traversie. Fu gettato dai venti sulle coste dell’Africa, visitò i paesi dei Lotofagi e dei Ciclopi. Fatto prigioniero da Polifemo, Ulisse ricorse, come sempre, all’astuzia per salvare sé stesso e i suoi compagni. Accecò il ciclope e, legando i compagni sotto il ventre dei montoni che andavano al pascolo, riuscì a portarli fuori dalla grotta.
Perseguitato da Poseidone, padre di Polifemo, ebbe l’aiuto di Eolo, che rinchiuse in un otre tutti i venti contrari alla navigazione. Ma l’otre fu aperto dai compagni di Ulisse incuriositi e i venti si scatenarono distruggendo tutte le navi tranne quella dell’eroe. Questi allora fu sbattuto sulle coste dei cannibali Lestrigoni, quindi sull’isola di Eea, dove la maga Circe lo ammaliò e mutò in porci i suoi compagni. Di qui, con l’aiuto di Ermes, riuscì ancora una volta a fuggire dopo aver ridato la forma umana ai suoi compagni.
Scese negli inferi, dove interrogò Tiresia per sapere come tornare in patria.
Passò indenne vicino all’isola delle sirene, facendosi legare all’albero della nave per non essere sedotto dal loro canto armonioso che i compagni, con le orecchie tappate dalla cera, non potevano udire.
Sfuggì ai gorghi di Scilla e Cariddi, approdò all’isola di Ogigia, dove si fermò dimentico di Itaca tra le braccia della ninfa Calipso. Ma poi per ordine di Ermes ripartì e navigò verso Corcira, dove Poseidone lo travolse con una tempesta affondandogli la nave. A nuoto Ulisse arrivò al paese dei Feaci, dove fu accolto da Nausicaa e dal re Alcinoo che, commosso dalle sue disavventure, lo fece condurre con una nave fino a Itaca. Qui, dietro consiglio di Atena, si travesti da mendicante, avendo saputo che la sua reggia era occupata dai Proci, i pretendenti di sua moglie, giovani violenti e dissipati.
Rivelò la sua identità solo al figlio Telemaco e al fedele pastore Eumeo, ma fu riconosciuto dal vecchio cane Argo che morì di gioia appena lo vide e dalla nutrice Euriclea.
Intanto Penelope, costretta a scegliere uno dei pretendenti, chiese loro di sottoporsi a una prova: colui che fosse riuscito a tendere l’arco di Ulisse e a far passare una freccia attraverso 12 anelli sarebbe stato il suo sposo. Nessuno dei Proci riuscì; allora il finto mendicante imbracciò l’arco e, dopo aver trapassato gli anelli, diresse le sue frecce contro gli arroganti corteggiatori, uccidendoli tutti.