FUNNY E LA LIBERTA'
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Mercoledì, 05 Febbraio 2014 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
Stridore di freni, sagoma enorme che si avventa su di me. Compio un balzo per evitare l’impatto e ce la faccio, ma per un pelo.
Sto tremando in tutto il corpo e corro da una parte all’altra senza sapere dove: non riconosco il posto. Questa è una strada per umani! E, infatti, eccone due che tentano di afferrarmi, ma venderò cara la pelle. Zigzago come impazzito e alla fine piombo tra le mani di un uomo che mi accarezza e mi tiene sulle ginocchia. Sto immobile per calmare il turbinio del sangue e il battito accelerato del cuore.
Mi viene offerto del fieno che io rifiuto. Voglio tornare in libertà, sentire
il vento sulle orecchie e l’erba sotto i piedi.
“Lasciatemi andare!” supplico con un lieve lamento.
Nulla.
Sono introdotto in una stanza con erba, crocchette, acqua, ma io mi acquatto in un angolo: non mangerò mai più fino alla completa liberazione.
Trascorre così tutta la giornata. Un uomo e una donna vengono di tanto in tanto a farmi visita. Mi parlano, mi accarezzano la testa e la schiena, mi tengono sulle ginocchia. Sono gentili, non c’è dubbio, ma io non cerco amici, solo libertà.
Dopo due giorni sono costretto a mangiare, altrimenti potrei morire. E sono troppo giovane per lasciare la mia carcassa a qualche divoratore di cadaveri.
Poi, insperata, una passeggiata all’aria aperta.
Per chi non conoscesse la mia storia, occorre che la racconti, così sarà più facile procedere con la narrazione.
A due mesi fui adottato da una famiglia con due bambini. Ero manipolato tutto il tempo, trattato come un giocattolo e lasciato a languire di giorno in una gabbia molto piccola fuori all’aperto. Di notte invece ero ricoverato in un garage, sempre con la gabbia come limite del mio universo.
A un dato momento la gabbia divenne troppo stretta per me – ricordo che era l’inizio di agosto – così fui lasciato libero di scorazzare nel piccolo appezzamento di terra che si trovava dietro la casa della mia famiglia.
Tentai più volte la fuga, ma le mie zampette erano ancora troppo corte e poco robuste, i denti non tanto forti quanto ora, così dovetti attendere la fine del mese prima di poter salire sul muretto di recinzione, masticare nervosamente un pezzo di rete e correre libero nell’enorme prato che mi si aprì d’improvviso davanti agli occhi.
Che meraviglia! Non più reti metalliche a fermare le mie corse, non più umani a dirigere la mia vita, ma la LIBERTÁ di annusare, di scavare, di saltare, di vivere insomma.
Bene, dove pensate che i miei nuovi aguzzini mi abbiano portato? Proprio nel piccolo appezzamento di terra che era stato la mia casa prima della fuga.
Faccio l’indifferente, tanto più che altri umani controllano attentamente le mie mosse. Poi questi ultimi se ne vanno e mi lasciano solo. Senza indugi salgo sul muretto di recinzione, mastico la rete che si scioglie sotto i miei denti aguzzi e salto nel mio adorato prato di erba profumata e libera.
Non riesco a trattenermi dal correre felice.
Le mie scorribande sono notate da un’umana e, dopo pochi minuti, eccone tre che tentano di riacciuffarmi.
Di nuovo il batticuore, ma stavolta non mi avranno: ho ormai imparato i vantaggi di essere piccoli. Posso intrufolarmi in posti, dove gli umani non riescono che a entrare con un bastone, ma di quello io non ho assolutamente paura.
Non dura molto l’inseguimento: li ho stancati e se ne stanno andando. Scruto dal mio rifugio il loro allontanamento e rido beato della libertà che mi è stata restituita.
Nel pomeriggio, altri tre umani mi inseguono con un aggeggio strano: un lungo manico dotato in punta di una rete. Mi ricorda molto la piccola gabbia che mi ha accolto da giovane.
Dopo un’ora di inseguimenti, anche questi tre mi lasciano al mio destino.
E stavolta, lo comprendo dai loro sguardi sconfitti, è proprio per sempre!
(dal libro "Animali, amici miei!" pubblicato nel marzo 2010)