LA FORESTA DEGLI ALBERI PENSANTI
- Categoria: Racconti
- Pubblicato: Mercoledì, 26 Ottobre 2022 00:00
- Scritto da Maria Grazia Sereni
Con il cane al guinzaglio Mino passeggiava nel grande parco in riva al lago. La giornata era stupenda, e il nostro amico sentiva uno strano formicolio in fondo allo stomaco, sintomo che, di regola, anticipava qualche insolito avvenimento.
A mano a mano che procedeva, il ragazzo era sempre più teso, come se qualcosa lo minacciasse. All’improvviso Kuma si fermò, si sedette e girò la testa verso il suo accompagnatore, guaendo in modo quasi impercettibile.
Mino, ormai definitivamente inquieto, esaminò il terreno: nulla; diede uno sguardo al cielo: nemmeno un uccello; osservò lo spazio a livello dei suoi occhi: niente di…
“Un momento! E quello cos’è?” si chiese il ragazzo il cui sguardo era stato attratto da un cespuglio con una sagoma che ricordava quella di un felino.
Sorrise scuotendo il capo e: “Tutto qui?” pensò. “Sono questi gli avvenimenti di cui presentivo e temevo tanto il verificarsi?”
Quindi tentò di far alzare Kuma per proseguire la passeggiata, ma il cane non ne voleva sapere. Guaiva, lanciando occhiate furibonde allo strano cespuglio, tanto che Mino decise di avvicinarsi per controllare che cosa innervosiva tanto il suo amico canino.
A pochi passi dal felino vegetale, il ragazzo iniziò a notare qualcosa di inconsueto: i rametti si muovevano sfregandosi gli uni contro gli altri, le foglie vibravano come in preda a una folle agitazione e dalla terra le radici facevano capolino – a Mino pareva persino che lo scrutassero con certi occhi!
“Accidenti, che cosa significa tutto questo? Non avrò le allucinazioni!” si chiese il nostro amico.
Ma Kuma era lì per confermare che qualcosa di molto insolito stava accadendo.
Mino fece ancora qualche passo fino a trovarsi a pochi centimetri dal cespuglio, allungò una mano e accarezzò le foglie che, al suo tocco, fremettero ancora di più.
“Allora non mi sono sbagliato! Ma perché tremi in questo modo cespuglio? Io non voglio farti male. Stavo solo passeggiando con il mio cane.”
A quelle parole il cespuglio parve calmarsi. Distese i rami, fermò le foglie e si spostò di lato – il ragazzo non seppe mai come accadde –mostrando una bizzarra porta di rami e foglie che, girando su cardini di legno, si aprì.
Al di là si intravedeva un sentiero immerso in una foresta così folta che a malapena lasciava filtrare i raggi del sole.
“Che ne dici Kuma, entriamo?”
“Bausì, bausì!” confermò il cane scodinzolando la gioia della caccia.
Ecco quindi i nostri eroi oltrepassare la porta, che si richiuse dolcemente alle loro spalle, e avviarsi sul sentiero che spiccava candido tra il verde degli alberi.
“Senti, Kuma, devi tenere a mente tu la strada del ritorno. Anche se per ora c’è un unico sentiero, ti prego di memorizzare lo stesso la direzione e gi eventuali odori. Intesi?”
“Bausì,” confermò il cane, naso a terra come i più esperti segugi.
Accadde quando Kuma si avvicinò a un albero e alzò una gamba per fare pipì.
“Cooome ti permeeetti?” disse l’albero offeso. “Io non ti hooo mai faaatto dei dispeeetti!”
Mino e il cane trasalirono, indietreggiando fino a toccare con la schiena un grosso tronco privo di rami.
“Questa è… è una foresta incantata!” mormorò con un filo di voce il ragazzo, attirando a sé il cane.
“Bau” rispose dubbioso quest’ultimo, tremando impercettibilmente.
Nella sua mente ciò che stava accadendo non aveva alcun senso, così la testa gli ciondolava da una parte all’altra nello sforzo di elaborare tutte quelle novità.
“E tu, ragaaazzo, peeerché non inseeegni al tuo caaane l’eduuucaziooone?”
“Io non sapevo che foste in grado di parlare.”
“Che impooortanza ha? E poooi noi non siaaamo solo in graaado di parlaaare ma anche di pensaaare. Tuuutti gli albeeeri sono viiivi e soffrooono se maltrattaaati. I nostri cugiiini là fuuuori non sanno parlaaare, ma sentooono tuuutto proprio cooome noi.”
“Io non immaginavo… mi scuso anche in nome del mio cane.”
“Lo so, che seeei un braaavo ragaaazzo. Il mio nooome è Triplé e sooono uno dei più anziaaani della foreeesta. Peeensa che ho ben dueceeento anniii.”
“Duecento anni? Complimenti! Scusi, posso porle qualche domanda?”
“Certaaamente giovanoootto. Sei fortuuunato perché io diiico sempre la veriiità. Mio cugiiino Duplé inveeece non può faaare a meeeno di mentiiire.”
“Innanzitutto vorrei sapere quali sono le cose che vi fanno soffrire o perlomeno che vi danno noia.”
“Noi albeeeri siaaamo ospitaaali. Così gli ucceeelli, le sciiimmie, gli scoiattoooli, i coniiigli e altri animaaaletti sono i benveeenuti. Ci distuuurbano invece tuuutte le maniiipolazioooni umaaane, tiiipo quelle poltiiiglie chimiiiche con cui ci irrooorano, l’inutiiile taaaglio dei raaami, i buuuchi nei trooonchi e altre cooose del geneeere. Quello che ci faaa soffriiire inveeece è l’abbaaattimento nooostro e dei nooostri frateeelli e cugini.”
“Ma il legno ci serve per i mobili, per i soffitti e i pavimenti delle case, per gli imballaggi, per la carta e forse anche per altre cose che adesso non ricordo.”
“Hai ragiooone, ragaaazzo. Qualcuuuno di noi deeeve pur sacriiificaaarsi, ma mi paaare che gli umaaani esageriiino. Taaante cooose potrebbeeero infaaatti essere realizzaaate con altri maaateriaaali, cooome le algheee per la caaarta, ad eseeempio.”
“Si può fare la carta con le alghe? Ma ne è sicuro? Io non ho mai sentito nulla del genere.”
“La caaarta di aaalghe contieeene anche una ceeerta perceeentuale di celluuulosa deriiivante dal leeegno, ma l’impooortante è il rispaaarmio che si realiiizza.”
Mino rimase colpito dalle notizie apprese e si ripromise di verificarne l’autenticità una volta tornato a casa.
Ancora frastornato, invitò con lo sguardo Kuma ad alzarsi e a seguirlo, salutò Triplé e proseguì il suo cammino.
Non aveva fatto che pochi passi, quando un albero abbassò un ramo facendogli volare il berretto dal capo.
“Ehi! Che cosa fa?” chiese Mino rincorrendo il copricapo.
“Deevi stare più atteento, cariino!” replicò l’albero piccato.
“Io non ho fatto proprio nulla: me ne stavo solo andando per i fatti miei.”
“Non è veero. Ti sei appeeso al mio raamo per speezzaarlo, e io ho dovuuto reagiire.”
“Lei è per caso Duplé?”
“No, per nieente! Ma tu coome fai a conooscermi?”
“Ora mi spiego tutto! Mi dica, posso porle qualche domanda Duplé?”
“No, non puooi; diimmi puure.”
“Vorrei sapere quali sono le cose che la infastidiscono e quelle che la fanno soffrire.”
“Mi infaastidiscoono il caanto degli ucceelli, le giornaate di soole e la piooggia che baagna le mie radiici asseetate. Mi faanno soffriire le cuure amoroose e il rispeetto degli esseri umaani.”
“Ho capito. E quali sono le cose che le fanno piacere e quelle che le procurano gioia?”
“Mi piaace moolto la moorte sia dei miei raami sia del mio troonco. Adooro esseere trasformaato in suppeellettili, in caarte, in caasse e altre coose del geneere per l’utiliità degli umaani. Taanto più quaando essi ci utiliizzano seenza spreechi!”
“Ma non potrebbe essere un tantino più sincero? A che le servono tutte queste fandonie?”
“Per tua noorma e regoola, io noon diico che la veriità. Non so prooprio peerché peensi che io meenta.”
“Ho conosciuto suo cugino, Triplé, che mi ha parlato molto bene di lei.”
“Oh, capiisco. Quel mio cugiino mi eloogia seempre, non so peerché.”
“Un motivo l’avrà pure,” sorrise Mino. “Io ora me ne vado; magari ci rivedremo più tardi.”
“Se doovessi incoontrare mio cuugino Simplé, non poorgergli i miei omaaggi.”
“Non mancherò. Arrivederci Duplé.”
L’albero mosse un ramo le cui foglie imitarono lo sventolio di un fazzoletto.
Proseguendo nel loro cammino, il ragazzo e il cane incontrarono parecchi alberi che li salutarono con molta simpatia. A tutti Mino chiedeva se erano Simplé, ma nessuno di loro rispondeva a quel nome.
D’improvviso si alzò un vento fortissimo, il cielo si ammantò e da lontano iniziò ad avvicinarsi un brontolio sordo che mise in allarme i nostri amici.
“Che cosa facciamo, Kuma? A scuola mi hanno insegnato che, in caso di temporale, non bisogna mai ripararsi sotto un albero, ma qui non ci sono che alberi,” si preoccupò Mino guardandosi intorno agitato.
“Se vi fidate di me, io avrei la soluzione,” disse un albero talmente alto che non era neppure possibile vedere la sua cima.
“Quale sarebbe?” domandò interessato il ragazzo.
“Dove il mio tronco emerge dal terreno, proprio tra le radici superficiali, noterete una fenditura abbastanza grande per voi. Se la imboccate, troverete un corridoio che scende verso il centro delle mie radici. Là sarete al sicuro.”
“Grazie, amico. Lei è veramente gentile. Posso conoscere il suo nome?”
“Io sono Simplé. Lo so che hai già conosciuto i miei due cugini Triplé e Duplé, ma ora non c’è tempo per scambiarci opinioni. Presto, entrate nella tana o potreste trovarvi in seri guai.”
Mino e Kuma non se lo fecero ripetere, anche perché il temporale era ormai giunto proprio sopra la foresta e imperversava con tuoni e lampi spaventosi.
Con qualche difficoltà i due entrarono nell’apertura indicata e percorsero il corridoio alla fine del quale trovarono uno slargo.
Una radice contorta più alta delle altre ospitava uno strano individuo che, al loro avvicinarsi, alzò il capo dal lavoro, fece un sorriso e li invitò con un cenno a sedere.
“Buon giorno, ragazzi, io sono Histor, colui che scopre e narra. Dato che siete stati tanto gentili da venirmi a trovare, vi racconterò la storia di questa foresta: la foresta degli alberi pensanti. Dite un po’, la conoscete già?”
“No,” sussurrò Mino, “ignoravamo che esistesse una foresta del genere.”
“Bene. Dovete sapere che all’inizio…”
“L’inizio di cosa?” interruppe Kuma, mentre il suo accompagnatore lo guardava stupito: non aveva mai sentito il cane parlare!
“Se pazienterai qualche minuto, tutto diventerà chiaro. Sembra che la vita sulla Terra abbia avuto origine da un unico organismo – che forse è errato chiamare organismo perché si trattava di un semplice batterio. Animali e piante hanno quindi un antenato comune, sempre se si ritorna indietro abbastanza nel tempo. Non è strano dunque che anche gli alberi abbiano una particolare coscienza di sé che gli permette di pensare. Fin qui è tutto chiaro?”
“Sì,” confermò Mino che pareva tuttavia un po’ scettico.
“Non voglio annoiarvi con la relazione dettagliata dell’evoluzione umana, quindi terminiamo dicendo che l’uomo – animale cacciatore meno dotato fisicamente – ha evoluto un cervello che gli ha permesso di sopperire alle proprie carenze fisiche. Consapevole della sua intelligenza, ha iniziato a sfruttare in tutti i modi la Natura – forse con l’intento di sostituirsi a essa? Mah! Il tapino però non si è reso conto che una Natura inviolata è la sua unica possibilità di sopravvivenza sulla Terra. Infatti, che ne sarebbe degli umani se le foreste sparissero? Chi altri, se non le piante, potrebbe fornire ossigeno a quest’atmosfera già fin troppo inquinata? Eh? Vi ho convinti?”
“Ne discutevo proprio l’altra sera con il mio amico Arno,” dichiarò Kuma grattandosi un orecchio.
Sebbene il ragazzo non fosse abituato a sentire il suo cane esprimere le proprie opinioni, la situazione era talmente bizzarra che anche le dichiarazioni di Kuma rientravano quasi nella normalità.
“Bene, vedo che sei un cane impegnato nella difesa delle condizioni ambientali. Ma ora proseguiamo con la nostra storia.
Come tutte le convivenze, anche quella degli umani con l’ambiente è alquanto problematica. Così, attraverso esperimenti e ricerche approfondite, ho scoperto il modo per salvare gli alberi.”
“E quale sarebbe?” lo interrogò Mino.
“Vedi quei barattoli di legno? Contengono i semi di tutte le specie di alberi esistenti sulla terra, cosicché se qualcuna dovesse estinguersi, io potrei riportarla in vita. Inoltre ho sottratto all’influenza umana gli alberi pensanti che si trovano immersi in una bolla di invisibilità, in modo che gli uomini non possano danneggiarla.”
“Vuoi dire che nessuno potrebbe distruggere questa foresta?” chiese Mino.
“Esatto. Solo una persona che conoscesse il segreto di Robur sarebbe in grado di compromettere il mio progetto.”
“Chi sarebbe questo Robur?” chiese Kuma interessato.
“È ciò che pensa i pensieri e soffre le sofferenze di tutte le piante.”
“Io non ho capito,” affermò il ragazzo. “Che cosa significa <<pensare i pensieri e soffrire le sofferenze>>? Potresti essere più chiaro per favore?”
“Nel profondo di questa foresta esiste un tunnel in cui si formano i pensieri degli alberi e in cui confluiscono tutti i loro dolori. Il nome del tunnel è Robur.”
“Un tunnel di nome Robur? Di’ un po’, non è che ci stai raccontando una frottola?” sbottò Mino.
“Lungi da me questa intenzione! Potete credermi o no, io vi sto solo spiegando le cose nella loro essenzialità.”
“Non è pericoloso raccontarci di Robur? Tu stesso hai detto che chi ne conosce il segreto ha il potere di distruggere la foresta,” sospirò Kuma.
“Il pericolo sussiste solo nel caso voi conosceste la sua ubicazione, e poi… ho le mie buone ragioni per parlarvi così,” confidò Histor.
In quel preciso istante una scossa violenta fece tremare il suolo, e dalla volta della tana caddero diversi sassi misti a terriccio.
I nostri due eroi volarono uno nelle braccia dell’altro, cercando quella sicurezza che solo un amico fidato in certe situazioni sa donare.
“Non temete, non vi succederà nulla. Purtroppo un albero è stato abbattuto, e la sua morte scuote le fondamenta di tutte le coscienze arboricole.”
“Se ne conosce la causa?” chiese Mino.
“Sì, è stato un fulmine: a volte purtroppo succede.”
“Come mai ne sei così sicuro?” chiese Kuma.
“Se la causa non fosse stata naturale, il pianto di Robur avrebbe creato ben altri problemi.”
“Quanto sei misterioso!” esclamò il ragazzo.
“Scusate, amici, io mi fido di voi – ci mancherebbe! –, ma mi dovete concedere qualche piccolo mistero per salvaguardare i miei amati alberi.”
“Bene,” concluse Mino. “Ora sappiamo tutto o c’è qualcos’altro di cui vuoi parlarci?”
Histor si alzò in piedi. Era alto, magro e non assomigliava per nulla a un essere umano tranne che nella pelle, pur se rugosa come la corteccia degli alberi. Infatti, le braccia e le gambe si ramificavano in tante minuscole braccia e gambe, proprio come rami degli alberi. I capelli parevano fili d’erba, o meglio foglie sottili e avevano un colore decisamente verde.
“Chi… chi sei tu?” chiese il ragazzo dopo aver esaminato ben bene il suo interlocutore.
“Ti ho già detto che sono Histor, colui che scopre e narra.”
“Lo so, lo so, me lo hai già detto. Ma io vorrei sapere che tipo di essere sei: un uomo? un albero? un animale?”
“Un po’ uno e un po’ gli altri. No, non temere,” aggiunse Histor vedendo il ragazzo e il cane indietreggiare impauriti, “non sono pericoloso. Ho scoperto il modo di assomigliare ai miei amati alberi e l’ho narrato ad altri che, come me, si sono dedicati a salvare la Terra dalla furia devastatrice degli uomini. Ho scoperto che non tutti gli uomini sono tanto feroci, così io e i miei compagni siamo alla ricerca di nuove reclute. Abbiamo raccolto informazioni su di te e siamo certi che tu potresti diventare uno di noi. Te la sentiresti?”
“In quanti siete? E come si fa a diventare come voi? A che tipo di esistenza si va incontro?”
“Siamo circa una ventina, e ognuno di noi vive nel cuore delle radici appartenenti all’albero prescelto. Per diventare come noi basta abbandonare l’idea di umanità, assumendo quella di eterogeneità. Vedi, Mino, tu sei un ragazzo e non avrai di certo ancora sviluppato completamente la coscienza di te stesso – la tua ipseità – anche se ci sono adulti che, purtroppo, non la sviluppano mai. Quando deciderai di emulare la mia scelta, ti narrerò per esteso tutto quanto. L’ultima domanda verteva sul tipo di esistenza che ti sarebbe offerta. Io sono Histor, colui che scopre e narra, e tu saresti un mio collaboratore. Dovresti aiutarmi a scoprire le cose essenziali per la tutela dei nostri amici alberi, cose che io poi narrerei a tutti quelli che le vorranno ascoltare. Se ti senti attratto da questo tipo di esistenza, allora non ti annoierai mai, se invece non lo sei, è meglio che rinunci subito perché la tua vita potrebbe diventare insopportabile, direi.”
Il ragazzo restò perplesso a quella proposta, guardò il suo cane che guaì: “Non vorrai lasciarmi solo, eh Mino?”
“Ho bisogno di tempo per pensare, non posso decidere così su due piedi. Ne devo parlare anche con i miei genitori e con gli amici.”
“Capisco. Esiste anche un’altra soluzione, però… Tu ami gli alberi? Sei convinto che essi abbiano delle sensazioni? E, in caso affermativo, rispetti il loro diritto alla vita?”
“La risposta alla prima domanda è sì. Dopo aver parlato con Triplé e Duplé e Simplé ho la certezza che gli alberi posseggano una particolare forma di vita – anche se non paragonabile alla nostra. Quello che essi sentono non mi è del tutto chiaro. Quindi è molto difficile per me rispondere all’ultima domanda. Credo che essi abbiano diritto alla vita, ma credo anche che la loro utilità per gli uomini sia predominante.”
“Capisco e ti ringrazio di essere stato sincero. Ora, sulla base delle tue affermazioni, posso proporti un altro tipo di progetto. Prima però dimmi se ho capito esattamente ciò che intendevi. Tu dunque ami la Natura, ma ritieni che essa debba essere al servizio degli uomini e la rispetti dopo che è servita per il vostro benessere. È così?”
“Sì. Però direi che sei piuttosto crudo nelle tue esposizioni, Histor.”
“Non si può infiorare la verità! La soluzione che ti propongo è la seguente: la parte di te simile a tutti gli altri uomini potrà continuare a vivere come ha fatto finora. Io mi accontenterò di quel piccolissimo frammento che ama la Natura e la rispetta senza condizioni. Che ne dici?”
“Le conseguenze? Quali sarebbero le conseguenze?”
“Dovrai solo decidere dove sistemare la tua coscienza: nella parte umana o nel frammento simile a me.”
“Non potrò vivere in entrambe le parti?”
“No, caro, una decisione va presa, anche se comprendo che potrebbe essere sofferta.”
“Histor, credo proprio che dovrò rifiutare entrambe le tue offerte. Io tornerò a casa con il mio cane e dimenticherò di aver conosciuto te e la foresta degli alberi pensanti.”
Sorrise Histor un sorriso beato, scosse con ardore tutte le sue membra e: “No, mio caro, non ci dimenticherai, almeno lo spero!”
Successe in un baleno. Mino e Kuma furono presi in un vortice di vento. Quest’ultimo li depositò davanti al cespuglio che celava la porta di accesso alla foresta incantata.
Fu come il risveglio da un sogno: si sentivano entrambi un po’ frastornati, anche se il ragazzo provava una certa riluttanza a tornare dai genitori.
Avrebbe voluto trascorrere ancora molto tempo nel parco, ma ormai stava decisamente imbrunendo.
Arrivò a casa, preparò il pasto per Kuma, quindi si sedette al tavolo dove i suoi lo stavano aspettando per la cena.
Tutto si svolse come il solito: quattro chiacchiere senza costrutto, qualche lazzo tra lui e la sorellina, qualche incursione di Kuma per ottenere un boccone.
Infine venne il momento di separarsi dagli altri, e Mino restò solo con sé stesso.
L’intera notte non fu sufficiente per pensare i pensieri – come diceva Histor – e il mattino successivo il ragazzo continuò a elaborare tutte le informazioni ricevute, trasgredendo così ai suoi doveri scolastici.
Per ben tre giorni Mino continuò a tornare alla sua avventura in quella strana foresta e infine comprese il significato di quel bizzarro sorriso sul volto di Histor.
Sorrise pure lui e: “Furbo il vecchio Histor!” esclamò.
Quella fu la prima notte, dopo l’avventura, in cui Mino riuscì a riposare tranquillo.
L’indomani si recò davanti al cespuglio felino, chiese il permesso di entrare nella foresta e marciò, seguito da Kuma, verso la tana di Histor.
“Salve,” sorrise quest’ultimo. “Bentornati. Accomodatevi. Posso fare qualcosa per voi?”
“Salve a te, Histor. Ho pensato molto alle tue parole e ho preso una decisione che tu non avevi proposto, ma che credo ti soddisferà.”
“Sentiamo,” mormorò Histor con il solito sorrisetto.
“Io desidero continuare a vivere tra i miei simili dove potrei perorare la causa dei nostri amici alberi diventando un botanico.”
“Eccellente idea! Come ho fatto a non pensarci?”
“Credo che tu mi volessi spingere a fare questa scelta con le tue improbabili proposte. E io sono felice di averti incontrato perché ora ho una nuova consapevolezza. Inoltre non avevo proprio idea del tipo di studi da intraprendere. Adesso invece ho deciso, e spero sarai soddisfatto di me.”
“Lo sono, mio caro, lo sono,” sorrise Histor con un inconsueto luccichio negli occhi.
(dal libro “Le Ecofavole” di Maria Grazia Sereni edito in luglio 2011)