Login Form

DISOBBEDIENZA

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Martedì, 13 Maggio 2014 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

minnie 20 giorni2

Ho aperto gli occhi oggi per la prima volta, ma non riesco a mettere a fuoco un granché. L’ambiente che mi circonda è sfocato, i rumori attutiti; l’unica cosa rassicurante è l’odore di mamma, calda, soffice e protettiva.

Con i miei fratelli – una femmina e due maschi – combatto ogni giorno battaglie immaginarie.

Il nostro rifugio è una legnaia, specie di vano a tre pareti addossato a un garage. Mamma ci ha ripetutamente raccomandato di non uscirne mai: sembra che nella casa accanto vivano un paio di cani feroci.

Noi siamo talvolta birichini e facciamo delle veloci sortite in cerca di prede.

Un giorno in cui mi sento temeraria, attiro i miei fratelli alla recinzione proibita. Nonostante le loro proteste, li obbligo a salire sul muretto per gettare uno sguardo al cortile confinante.

“Strano! Secondo mamma, là ci sarebbero due cani feroci, e invece non se ne vede nemmeno uno!” affermo.

Una voglia matta di scendere dalla parte opposta si è impossessata di me, e l’avrei già fatto se Milla non mi avesse richiamata: “Ti prego Molly, non andare. Se vai tu, dobbiamo seguirti, e io ho tanta paura. Torniamo a casa per favore.”

Sospiro e, brontolando, mi avvio verso la nostra legnaia, davanti alla quale mamma è in attesa con un’espressione per nulla rassicurante.

“Quante volte vi ho raccomandato di non avvicinarvi a quella casa? Possibile dobbiate sempre correre dei rischi inutili?”

“Ma non ci sono cani da quelle parti,” controbatto.

Una zampata mi fa ruzzolare a terra: “Cani o non cani, là non ci dovete andare, chiaro? Se vi pesco un’altra volta vicini a quel muretto, vedrete che cosa vi succede!”

La legnaia è diventata ormai un luogo angusto per i nostri corpi – oggi compiamo due mesi! – e per la nostra vivacità che aumenta a ritmo incalzante. Le scalate dei ciocchi di legno non rappresentano più un diversivo per noi bensì un’abitudine che si è trasformata in noia.

“Oggi voglio proprio avventurarmi sul muretto proibito,” dichiaro in un tragico mattino di maggio. “Chi vuole mi segua, chi ha paura resti a casa!” aggiungo con disprezzo.

Ovviamente i miei due fratelli e Milla, anche se a malincuore, si accodano. Io sono capofila e procedo baldanzosa, testa alta, naso al vento.

Giunti alla base del fatidico muro, salto per prima e mi trovo a muso a muso con un cagnaccio nero che spalanca le fauci per inghiottirmi.

Pur paralizzata dal terrore, ho fatto in tempo ad avvisare i miei fratelli che si precipitano verso casa inseguiti dal nemico per il quale, evidentemente, la mia immobilità non ha agito da stimolante.

Osservo con orrore il cane che ha ormai raggiunto i miei fratelli; con una zampa ne atterra uno, mentre con il corpo frena la corsa degli altri due. Per colmo di sventura, un nuovo cane biondo salta il muretto non degnandomi di uno sguardo, si avvicina al compare e lo aiuta a straziare quei poveri corpicini. Sento le loro grida dilaniarmi il cervello.

“Ora tocca a me,” penso nella nebbia del mio terrore e, rassegnata, mi avvio verso casa trascinando le zampe tremanti.

Giungo sul luogo del massacro, dove i cani drizzano le orecchie, iniziando a brontolare in sordina come se io fossi una pretendente alle loro prede. Quando si accorgono che cerco solo di svignarmela, si lanciano all’inseguimento. D’istinto mi impegno in una corsa sfrenata, miagolando a più non posso.

Le urla dei miei fratelli e le mie hanno provocato l’apparizione di mamma che si dirige verso i cani con l’evidente intento di farmi arrivare sana e salva alla legnaia. Dove giungo trafelata. Mi infilo in un buco, mi giro e osservo la scena.

Mia madre, bianca com’è, sembra una palla di neve infuriata: denti e artigli in bella mostra, ruggisce come non l’ho mai udita fare. Per qualche attimo i nemici indugiano, sicché mamma retrocede impercettibilmente verso di me. Quello deve essere stato un errore perché i cani si destano dal loro torpore, avventandosi con impeto su di lei. Latrati, ruggiti, di nuovo latrati; la lotta è impari, e mamma infine soccombe, non prima di aver fatto guaire di dolore gli aggressori. Essi stanno per scagliarsi su quel povero corpo, quando ecco apparire un contadino con un grosso bastone, alla vista del quale gli intrusi si dileguano.

Io allora, incurante dell’uomo, mi avvicino a mia madre. È a terra, immobile, ogni respiro un lamento di dolore. Le lecco le ferite, mi accoccolo al suo fianco e piango: “Oh mamma, che cosa ho mai fatto? Perdonami, ti prego. Dimmi se ti posso aiutare in qualche modo. Rispondi, ti supplico!”

I suoi occhi sono ormai velati, ma con un ultimo sussurro essa mi raccomanda: “Vattene da qui Molly, i cani sanno che ci sei e ti cercheranno finché anche tu cadrai come noi.”

“Dove devo andare? E come farò a vivere senza di te? Mamma, mamma…” miagolo disperata, cercando di rianimare quel corpo tanto amato. Tutto inutile! Ora sono sola, completamente sola!

Vedo il contadino che mi osserva e mi offre una ciotola di latte, poi raccoglie i corpi dei miei familiari, li infila in un sacco di plastica che butta nelle immondizie.

“Devi andartene da qui micio,” mi consiglia, “i cani possono tornare da un momento all’altro e tu sei troppo piccolo per tenergli testa. Vedi che non c’è riuscita neppure tua madre!”

Se tutti mi raccomandano di andarmene, lo farò, ma domattina, ora sono troppo stanca.

Mi infilo nella legnaia con la speranza di addormentarmi. Tuttavia, anche se il corpo è sfinito, l’ansia mi impedisce di dormire.

L’indomani, di prima mattina, il contadino mi offre un’altra ciotola di latte e mi saluta con la mano quando mi allontano per sempre da quel luogo di sventura.

Non so da che parte dirigermi, così prendo il primo sentiero tracciato e lo seguo, cercando di tenermi nascosta sotto i numerosi cespugli che lo costeggiano.

Ogni rumore che avverto mi spaventa, mi giro ansiosa per controllare di non essere pedinata da mastini sanguinari. Poi sento delle voci umane in lontananza e, dopo un attimo di incertezza, mi affretto a quella volta. Il mio ragionamento è semplice: il contadino mi ha salvata dai cani e mi ha rifocillata, così forse anche questi umani mi aiuteranno.

Giunta a pochi metri dalle voci, intravedo due uomini, uno anziano e uno giovane. Mi avvicino al giovane e mi struscio sulle sue gambe.

“Spostati da lì che gli sparo,” dice l’anziano.

“Perché?”

“Così vedo come funziona questo fucile, non ho ancora tirato un colpo.”

“Ma è un micio pà. Non puoi sparare a un uccello invece?”

“No, voglio sparare a quel gatto! Sai che io li odio. Allora ti scosti?”

“Assolutamente no!” si impunta il mio amico.

“Non vorrai portarlo a casa?”

“E invece sì, mamma ne sarebbe felice.”

“Vedrai che da là sparirà presto…” afferma l’anziano con piglio furbesco.

Vengo sollevata da terra e tenuta tra le braccia del giovane fino alla loro casa, dove una festosa accoglienza mi fa ben sperare per il futuro.

Ma non ho fatto i conti con l’uomo che mi voleva sparare – che mai vorrà dire poi? Infatti, ogni volta che siamo soli, non fa altro che prendermi a calci e guardami con occhi terribili che mi ricordano i feroci cani della legnaia.

Poi un giorno il mio giovane amico mi porta a fare una passeggiata fino a una villa di cui conosce la proprietaria. Sento i due parlottare di una micina morta o qualcosa di simile. Non comprendo i loro discorsi, ma avverto il calore affettuoso di Cecilia che mi stringe tra le braccia e allora, nonostante la mia giovane età, comprendo che questa sarà la mia nuova mammy. Per sempre!

                                                                                 Molly

(racconto tratto dal libro "Cronache Feline" pubblicato nel mese di maggio 2008)