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RACCONTO DEL NARCISO

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Domenica, 14 Luglio 2013 17:35
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

narciso

Sospiri, ecco tutto ciò che riusciva a confidarmi Nanni. Era bella: capelli d'oro puro, guance marmoree, occhi di un blu profondo. Ma infelice, poverina. Eppure regnava sul cuore di molto coetanei, come pure sull'animo di tante amiche.

Io non sono mai riuscito a capire ciò che la tormentava, finché un giorno...

Era primavera, sapete, una primavera piovosa come poche ma tanto allegra. Quando il sole si liberava delle nuvole, era un tripudio di gioia.

Eppure Nanni scendeva in giardino, accarezzava con dita vellutate le nostre corolle, mentre lacrime lucenti scendevano sulle sue guance. E i sospiri! Da spezzare il cuore.

"Che cosa ti preoccupa, bambina?" le sussurravo. "Confidati con noi,

ti potremmo aiutare, e comunque, una volta scaricato, il cuore è più leggero."

Ma non c'era verso. Le sue labbra si aprivano solo per modulare sospiri.

Poi un giorno la vidi giungere al braccio di un bel giovane sconosciuto. Chiacchierava la nostra eroina, era animata, era... felice? Sì, felice!

Bene, il rimedio era dunque trovato, forse appena in tempo per impedire il degrado di tanta dolcezza.

Furono giorni beati, sapete, giorni pieni di giochi, di corse, di estasi e, soprattutto, di amore. Non so quanto tempo trascorse, non molto mi pare, poi la primavera si assopì per lasciar posto all'autunno. No, miei cari, non mi sono confuso. Il giovanotto partì e con lui il sole, la luce, il tepore dell'aria.

Nanni sospirava e piangeva, piangeva e sospirava; a volte se ne stava immobile nell'erba con un foglio ciondolante da una mano, altre leggeva avidamente quel foglio che però non le dava conforto. Dopo qualche giorno cercai di consolarla vestendomi del mio abito regale, ma ella pareva non far caso a noi, e il suo viso si trasformava sempre più in marmo bianco.

Un mattino, al risveglio, la trovai sdraiata sull'erba ai miei piedi. Era bella, sapete, bella come non mai. Anche se i suoi occhi erano chiusi, pretesi di immaginarli pieni di lacrime; anche se la sua bocca era serrata, pretesi di udire i suoi sospiri; anche se il suo petto era immobile, pretesi di vedervi un palpitare convulso.

Giunsero i genitori, dissero che aveva trascorso la notte in quel modo, tentarono di lusingarla, ma Nanni non si voleva salvare. Il capo ciondolante, le braccia inanimate, gli occhi fissi su sogni riservati a lei sola, pareva una bambola di pezza. Solo le labbra, balbettanti segreti, denotavano in lei un barlume di vita, ma che vita! Il suo corpo fu sollevato, trasportato in casa e per giorni e giorni ci preoccupammo.

Poi Rosa fu colta con le sue sorelle per adornare la stanza di Nanni e una coccinella fu inviata per comunicarci che la situazione era invariata. La fanciulla restava in vita solo grazie alle cure prodigate dai medici, mentre la sua unica volontà sarebbe stata di lasciarsi trasportare in un mondo migliore.

Un giorno il giovanotto sconosciuto fece di nuovo la sua comparsa sul prato, ma stavolta a fianco della sorella di Nanni.

"Un'ape, proprio come un'ape: di fiore in fiore," pensai, immaginando quanto avrebbe sofferto la mia beniamina. Ma mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo.

L'indomani Nanni si presentò sul prato. Aveva un'aria affatticata ma per nulla infelice. Di tanto in tanto la vedevo accarezzare il ventre rigonfio della sorella, ridere delle sciocchezze che le giovani si confidano, muoversi con sorpresa tra la natura rigogliosa. Non la vidi mai lanciare uno sguardo al giovane sconosciuto, né parlare con lui.

Mi addormetai in autunno e, al mio risveglio in primavera, Nanni spingeva una carrozzina da cui uscivano di tanto in tanto fievoli miagolii.

"Un cucciolo d'uomo!" esclamai, e gli insetti confermarono che i genitori erano il giovane sconosciuto e la sorella di Nanni.

Non comprendevo per quale motivo la madre non fosse presente e per qualche giorno i dubbi non poterono essere fugati. Poi amiche mosche raccontarono come la povera fanciulla fosse a letto per una grave febbre puerperale.

Il tempo trascorreva a manciate, lasciando la situazione immutata.

Infine la giovane madre guarì e riprese a fatica le sue passeggiate in giardino a fianco della sorella. Ora Nanni pareva angustiata da qualche dubbio o difficoltà o problema, esattamente non so. Erano ancora sospiri che uscivano dalle sue labbra, tuttavia senza lacrime.

E un giorno non la vidi: la carrozzina era spinta dalla sorella che si guardava intorno stranita. Poi giunsero il marito e i genitori di lei con una lettera.

"Nanni se n'è andata. Ha lasciato questa per te," dissero alla giovane madre.

Ella stracciò la busta da cui estrasse un foglio che divorò avidamente con gli occhi. Dopodiché svenne e sarebbe caduta a terra se il marito non l'avesse sorretta.

Allora i genitori raccattarono da terra la lettera che lessero ad alta voce.

Cara sorella,

me ne vado con Margherita. Non temere, la alleverò come fosse mia figlia. Tu hai tuo marito che ti aiuterà a superare ogni difficoltà, ma io non ho nessuno e Margherita è tutto quello che potrò mai possedere di lui.

Perdonami se puoi e, ti prego, non cercarmi.

Il giovane rovistò febbrilmente tra le coperte della carrozzina, dove riposava un grosso gatto giallo che, disturbato, miagolò qualche protesta.

(racconto tratto dal libro "Colori in concorso" pubblicato nel luglio 2012)