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GRANDI PANDEMIE

  • Categoria: Veganesimo
  • Pubblicato: Domenica, 20 Dicembre 2020 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

 

carne vegetale

Le più grandi pandemie della storia sono zoonosi, ovvero malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo, proprio come l’attuale Coronavirus. Patologie gravi, la cui diffusione ha un rapporto di interdipendenza sempre più stretto con le attività umane, come emerge dal report realizzato in uno sforzo congiunto del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) e l’Istituto Internazionale di Ricerca Zootecnica (ILRI). Gli esperti dichiarano chiaramente che, se non saremo in grado di agire tempestivamente, dovremo affrontare nuove pandemie, con effetti sempre più devastanti sulla salute umana e sull’economia mondiale.

Ma quali sono le cause profonde che scatenano questo tipo di emergenza sanitaria e quali sono le misure da mettere in atto per impedirne di nuove? Tra quelle individuate nel report, spiccano sicuramente l’aumento della domanda di proteine animali, le forme intensive di allevamento e agricoltura nonché il cambiamento climatico, fattori strettamente connessi tra loro e con l’attuale crisi ambientale. È chiaro quindi che sia il comportamento umano, il modo in cui ci procuriamo il cibo e interagiamo con l’ambiente che ci circonda a rappresentare un fattore di rischio per la diffusione di zoonosi. Basti pensare che, secondo gli esperti, tre su quattro di queste “nuove malattie” provengono dagli animali e la frequenza con cui emergono sta accelerando da oltre 40 anni.

Se si tiene conto che il 60% delle malattie emergenti viene trasmesso da animali selvatici, è chiaro come i cosiddetti «wet market» asiatici, in cui la fauna selvatica viene esposta viva e poi macellata direttamente sul posto, rappresentino un pericolo molto grave. Lo spargimento di sangue che si genera in questi luoghi, infatti, favorisce la trasmissione del virus da specie a specie. Anche gli allevamenti intensivi, però, giocano un ruolo importante in questo contesto: viste le condizioni di estremo sovraffollamento in cui vivono gli animali, sarebbe impossibile evitare la diffusione di un virus all’interno di queste strutture, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica.

Meno carne e derivati, dunque, per diminuire la richiesta di proteine animali e scongiurare il pericolo di nuove pandemie, ma anche per fermare il cambiamento climatico. Come evidenziato da uno studio dell’Università di Oxford, le emissioni inquinanti legate al sistema alimentare globale sono una minaccia concreta che rischia di mandare a monte gli accordi di Parigi sul clima. Molte zoonosi, spiegano gli esperti, sono sensibili alla temperatura e un certo numero di queste patologie potrebbe diffondersi più facilmente in un ambiente più caldo e più umido, come quello previsto per il prossimo futuro se non saremo in grado di fermare il surriscaldamento globale.

A questo si aggiunge un altro fattore determinante, in qualche modo legato al precedente, ovvero la perdita di biodiversità. Come evidenziato anche da uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Nature, c’è correlazione tra la diffusione di pandemie e la distruzione degli ecosistemi operata dall’uomo. Secondo gli esperti, se si ha una perdita di biodiversità, ci si trova di fronte a poche specie in sostituzione di molte – e queste specie tendono a essere quelle che ospitano agenti patogeni che possono trasmettersi all’uomo. Il nodo nevralgico della questione, dunque, è fermare la deforestazione che, secondo la FAO, continua a livello globale a un ritmo di 10 milioni di ettari all’anno. Qui, in qualche modo, il cerchio si chiude perché l’allevamento intensivo è legato non solo all’emissione di sostanze altamente inquinanti, ma anche alla deforestazione necessaria per fare spazio agli allevamenti.

Risulta chiaro, quindi, come lo sfruttamento degli animali – selvatici o “da reddito” – sia strettamente connesso alla potenziale diffusione di pandemie, oltre che a un comportamento non più accettabile dal punto di vista etico. La soluzione, urgente e indiscutibile, è cambiare il nostro modello alimentare e spostare il consumo verso le proteine di origine vegetale. La pandemia in atto ha già portato a un calo netto del consumo di carne, con l’Asia che corre verso un’alimentazione plant-based per paura del contagio e un aumento considerevole della richiesta di “carne vegan” a livello internazionale, ma non basta. In gioco c’è la salute pubblica e la salvezza del pianeta che ci ospita, e l’adozione di stili di vita più consapevoli – che comprendono il passaggio a un’alimentazione plant-based – è un imperativo morale per tutti.

La Redazione di Veganok