Login Form

DEPRESSIONE

  • Categoria: Racconti
  • Pubblicato: Sabato, 19 Aprile 2014 00:00
  • Scritto da Maria Grazia Sereni

DEPRESSIONE

Da più di un mese sono in queste condizioni.

Dovrei rivolgermi al medico di famiglia, ma non me la sento di raccontargli le mie pene. In fondo sono mie, e nessuno mi può aiutare.

Non ho appetito e, tutte le volte che mi forzo a ingoiare qualcosa, spesso lo stomaco lo rende.

Non dormo la notte – solo due-tre ore – e, quando infine il sonno travolge la mente stremata, gli incubi ghiacciano le poche forze residue.

Hanno suonato alla porta. Non mi sento di parlare o di vedere qualcuno, quindi non rispondo, anche se so che non desisteranno.

Tutti i miei parenti e conoscenti sono preoccupati per la mia depressione che mi ha già spinto a tentare il suicidio. Allora non ci riuscii, ma con l’esperienza le pratiche si affinano.

Sto

distesa sul letto da quanto tempo? Non lo so, mi costa fatica persino guardare l’ora, ma deve essere tardi: ormai il buio ha invaso la stanza.

Dovrei alzarmi e accendere la luce, ma non c’è nulla nella mia casa che valga la pena osservare.

Squilla il telefono.

Continui pure, io non risponderò. Avrò il diritto di stare un po’ tranquilla in casa mia!

Mio fratello Mimmo è morto due mesi fa.

È morto due mesi fa mio fratello Mimmo.

Due mesi fa è morto mio fratello Mimmo.

Non l’ho saputo aiutare, anche se era noto a tutti che si drogava.

Forse, se gli avessi parlato, se avessi cercato di comprendere le sue ragioni; forse se gli avessi manifestato solidarietà, affetto, comprensione – tutte cose che provavo per lui – non si sarebbe sentito così solo da punirci con la sua morte.

Sono stata molto scarsa come sorella – ed è probabile che lo sia anche come figlia –, ma… non so proprio come proseguire la frase. Non ci sono ma che tengano.

Bussano forte alla porta, ora è meglio che apra.

“Stai bene? Eravamo preoccupati tuo padre e io,” sospira mia madre dietro le cui spalle fa capolino papà.

Mi sposto dal vano per farli entrare e, stremata, mi siedo in poltrona.

Papà ha un pacco che posa sul tavolo.

Non chiedo nulla, non mi importa.

Allora è mamma che: “Non vuoi sapere che cosa c’è nel cartone?”

Scuoto il capo: non mi interessa.

Lei non si dà per vinta ed estrae un micetto di pochi mesi, tutto bianco con gli occhi azzurri.

“Lo abbiamo preso al gattile. Per lui la qualità di vita migliorerà di sicuro, e per te? Che cosa ne pensi?”

“Non me la sento di accudire a un gatto, non ne ho il tempo né la voglia,” affermo con un groppo di languore in gola.

Il micetto nel frattempo mi si è accostato e ora sta salendo aggrappandosi con le unghiette a spillo sui miei jeans.

Vorrei scrollarmelo di dosso, ma quelle punture suscitano una reazione strana nelle mie emozioni: le sento come un’espiazione, un martirio dovuto alla memoria del mio adorato fratello.

Allora sollevo la piccola peste, la guardo negli occhi che lui chiude in baci gioiosi.

Lo accosto alla guancia: è morbido il suo pelo e appassionate le sue grida.

Una zampetta implorante si posa sulla mia guancia… bagnata?

Perché bagnata?

“Va bene, lo chiamerò Mimmo.”

Perché ho detto va bene?

E perché gli ho imposto un nome?

E perché proprio quel nome?

Sono pronta a spendermi per lui?

Perché no?

Gli indù credono nella reincarnazione…